di Paride Lupo
In tanti, in troppi si riempiono la bocca con la parola “costituzione” senza conoscerne il contenuto. Il Titolo III – Rapporti economici (artt 35-47) – è probabilmente la parte più attuale della nostra Carta fondamentale. Sfortunatamente è anche la parte meno conosciuta.
In pochi oggi conoscono le discussioni avvenute durante i verbali dell’assemblea costituente del 1946 e del 1947, dove i nostri padri costituenti discutevano su quale modello economico l’Italia avrebbe dovuto adottare.
I padri costituenti avevano individuato come causa della seconda guerra mondiale l’ideologia liberista, cioè la concezione secondo cui lo stato interviene il meno possibile in economia. Secondo i costituenti il modello economico liberale era anche la causa di fortissime disuguaglianze. Di contro anche la concezione di un’economia fortemente “centralizzata” destava non poche perplessità.
IN MEDIO STAT VIRTUS
Vi propongo i passaggi più importanti, dove nella discussione si arriva a capire i motivi per cui – alla fine – si è scelto il modello economico misto, dove è riconosciuta l’iniziativa privata a patto che non leda i diritti fondamentali altrui, con uno stato che interviene per regolare gli eccessi del “mercato”. Insomma come dicevano i latini “la virtù sta nel mezzo”. Buona lettura, le dichiarazioni sono riportate in ordine cronologico, con tutti i link alle fonti originali
TITOLO III – RAPPORTI ECONOMICI – ART 35
La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori.
Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro.
Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.
3 OTTOBRE 1946
Fonte originale https://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/I_Sottocommissione/sed018/sed018.pdf
Fonte alternativa https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/02principi-e- p1/04/index.htm?002.htm&2
PALMIRO TOGLIATTI (Relatore): Qui si collega l’altro problema cui ha accennato nella sua relazione, il problema delle garanzie contro il ritorno della tirannide, contro il ritorno sopraffattore degli elementi più avidi della società capitalistica, perché se si lascerà ad essi libero giuoco, arriveranno inevitabilmente ad avere nelle loro mani una massa tale di mezzi economici per cui domineranno di nuovo la vita del Paese. Questa è una esperienza ormai universale, ed è per questo che dappertutto oggi si prendono misure di nazionalizzazione, le quali, se hanno da un lato un valore economico, ne hanno dall’altro uno politico, e rappresentano la strada per cui i popoli cercano di orientarsi verso nuove finalità evitando quelle situazioni che sfociano nelle guerre di sterminio a cui si è assistito e che potrebbero di nuovo verificarsi domani.
MARIO CEVOLOTTO: (…) Quindi, intervento dello Stato nella produzione, intervento cui si arriva attraverso la garanzia del diritto al lavoro. Fa presente in proposito che mentre un ritorno in materia economica al liberismo sarebbe una proposizione assolutamente superata è da domandarsi se una regolamentazione totalitaria dell’attività produttiva sia veramente utile e scevra di pericoli in una economia come quella italiana.
OTTAVIO MASTROJANNI: osserva che nella discussione che si è fatta è affiorata una duplice preoccupazione: garantire ai meno abbienti il diritto ad una vita dignitosa; evitare che la ricchezza, accumulandosi nelle mani di pochi, possa portare a conseguenze funeste anche di carattere politico.
Per ovviare al primo inconveniente ci si orienta sul fatto del controllo dell’economia nazionale, perché in tal modo si assicurano i mezzi anche a coloro che non li hanno per una coesistenza civile. In linea di massima, pensa che tutti siano d’accordo sulla prima parte, nel senso che debba esistere una umana solidarietà per venire incontro ai meno abbienti. Per la seconda, gli sembra che non vi siano dei contrasti irraggiungibili sulla necessità che lo Stato, in qualche modo, intervenga per evitare abusi e per regolare il sistema economico nazionale (…)
Irreggimentare in modo organico e categorico tutto il consorzio umano, attraverso una disciplina che investe le libertà, le economie e persino il pensiero e l’attività individuale, allo scopo di giungere ad un’equa ripartizione dei beni che la terra può offrire, gli sembra pericoloso ed inutile, in quanto non si deve dimenticare che il Paese va anche considerato nella sua configurazione geografica, etnica e politica e secondo la sua produttività, nonché secondo la civiltà e l’orientamento del suo popolo. Esperimenti di questo genere furono già fatti in tempi recenti e si è visto come sono disastrosamente falliti.
PIETRO MANCINI: dichiara di aderire perfettamente al pensiero così limpidamente espresso dall’onorevole Togliatti, per le seguenti ragioni:
1°) perché ritiene necessario dare al regime democratico un contenuto, altrimenti si cadrebbe in quella nebulosa democratica condannata con aspre parole dall’onorevole Lucifero;
2°) perché la democrazia si è impegnata ad una trasformazione della vita politica del Paese, e quindi non può non impegnarsi ad una trasformazione della vita economica, dato che dal progresso economico soltanto deriva il progresso politico;
3°) perché una Costituzione non può segnare le colonne d’Ercole al progressivo divenire democratico, ma deve assicurare anche un futuro;
4°) perché il controllo sociale sulla vita economica si risolve sempre a favore della collettività, a favore di quelle esigenze della solidarietà sociale, e di quel perfezionamento sociale economico e culturale dell’individuo, affermato nei due articoli discussi nella precedente seduta.
TOGLIATTI (Relatore): Tutti capiscono la realtà della vita economica di oggi; tutti hanno visto come si sia sviluppata la vita economica nell’Europa capitalista, dove si è assistito a forme di concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, e come ne siano derivati sconvolgimenti sociali, la miseria, la guerra, il fascismo, la tirannide, che ha soppresso la libertà democratica. È a questo che si cerca di porre riparo. Il problema non può risolversi con teoremi economici; ma è un problema di realtà politica e sociale che ha cominciato e continua a svilupparsi sotto gli occhi della presente generazione e ad esso le classi lavoratrici cercano di trovare una soluzione.
GIORGIO LA PIRA: rileva che, data l’attuale situazione di fatto, nella quale esistono larghe crisi periodiche di disoccupazione mentre non è attuata una effettiva e consapevole partecipazione della massa lavoratrice al meccanismo produttivo, sorge il problema: l’ordinamento economico liberale, che ha creato questi due fatti, ha una virtù interna tale da poterli superare? La risposta non può essere che negativa. Di qui la domanda: qual è lo strumento economico nuovo e quindi la nuova struttura economica capace di superare questi due fatti? Respinto l’ordinamento liberale, occorre creare una struttura economica nuova, la quale realizzi quella dignità della persona umana sulla quale tutti sono d’accordo.
MANCINI: L’onorevole Lucifero afferma poi che tutto il progresso sociale dipende dall’esercizio delle libertà. L’oratore pensa il contrario, che non può esservi un perfetto esercizio di libertà senza una possibilità economica che modifichi la vita economica della collettività. Il giovinetto, figlio del popolo, che non può istruirsi ed educarsi, a parità di merito con il ricco, non progredisce, né perfeziona la sua personalità, non interviene nel progresso sociale. La libertà che gli si concede è una libertà di ignoranza, completamente inutile, anzi nociva. Conclude affermando che, se si vuole davvero rispettare e garantire l’esercizio della libertà, si deve assolutamente modificare il congegno economico della vita sociale.
GIUSEPPE DOSSETTI: Ora, l’esperienza storica insegna che il lasciare libero giuoco alle forze naturali ed economiche porta ad una sopraffazione; quindi non bisogna accettare, ma si deve respingere la soluzione ottimistica del libero e spontaneo giuoco delle forze economiche.
ALDO MORO: osserva che è effettivamente insostenibile la concezione liberale in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell’ordinamento più completo dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore benessere possibile. Quando si dice controllo della economia, non si intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche, ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le coordina, le disciplina e le orienta. Esprime la certezza che da questo controllo economico, nello Stato democratico, non nascerà un totalitarismo economico né politico. Lo stato fascista non era uno Stato democratico, era anche nelle sue forme di controllo uno Stato delle classi capitalistiche, le quali non tutelavano gli interessi della collettività, ma tutelavano gli interessi della classe che rappresentavano. Non è possibile permettere che gli egoismi si affermino, ma è necessario porre la barriera dell’interesse collettivo come un orientamento e un controllo di carattere giuridico. Ed è nell’ambito di questo controllo che lo Stato permetterà delle iniziative individuali, finché rientrino nell’ordinamento generale, di svolgersi liberamente. E queste iniziative individuali sono consacrate con il riconoscimento della proprietà personale.
TITOLO III – RAPPORTI ECONOMICI – ART 36-44
12 MARZO 1947
Fonte originale http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed059/sed059nc.pdf (PAG 11)
Fonte alternativa https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/01generali/03/index.htm?009.htm&2
MEUCCIO RUINI (Presidente della Commissione per la Costituzione): Nei rapporti economici hanno il loro posto le norme per l’impresa e la proprietà. Avete ascoltato l’onorevole Basso; anche le correnti estreme ammettono che nell’attuale momento economico si riconosca libertà ed iniziativa alla impresa ed alla proprietà privata. Perché non registrare il principio che non è un compromesso e risponde al fatto economico?
L’onorevole Bozzi ha osservato che non si può nello stesso tempo dire libere ed assoggettare a limiti l’impresa e l’iniziativa private. Ma non c’è mai stato un ordinamento di questo mondo dove tutto fosse liberista o tutto comunista. Anche in un regime economicamente libero vi sono dei limiti (e vi sono sempre stati) imposti per legge all’impresa ed alla proprietà privata. I più conservatori ed ortodossi non possono opporsi a quanto è stabilito anche in Costituzioni ormai vecchie.
Né han ragione di gridare contro ciò che riguarda il controllo ed il piano economico. Qui ho cercato di influire, perché si tolga una prima espressione che vi era nel progetto: e non penso che per questo io debba essere fucilato. Vi era nel progetto una espressione che diceva: «Ogni attività economica è soggetta a controllo periferico e centrale». La frase poteva essere interpretata in modo eccessivo. Abbiamo messo un articolo che consente di armonizzare e di coordinare le attività economiche, private e pubbliche, a scopi sociali. È in essere la pianificazione? Ma è ormai in atto in tutti i Paesi; e deve essere in base alla legge, e con criteri di elasticità, di guida e direzione più che di coazione totalitaria; lontani dai piani alla russa; e ciò risulta dallo stesso tenore della disposizione. Domando a voi cosa vi è in essa di rivoluzionario o di reazionario; lo domando specialmente ai colleghi che non si spaventano se un metropolitano (NDR – vigile urbano), dirigendo la circolazione per la strada, ne assicura la vera libertà.
3 MAGGIO 1947
Fonte originale http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed109/sed109nc.pdf (PAG 4-5)
Fonte alternativa https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/04p1/03p1t3/02/index.htm?002.htm&2
PIERO MALVESTITI: Onorevoli colleghi, non è ormai una affermazione peregrina dire che il terzo Titolo del progetto di Costituzione, che tratta dei rapporti economici, ne è la parte più nuova, più moderna, direi addirittura più rivoluzionaria, senza paura della definizione, perché sono le cose che importano e non i nomi delle cose. (…)
Su una constatazione noi dobbiamo almeno essere d’accordo: che il divorzio fra politica ed economia è assurdo: che il sistema economico deve creare le condizioni di possibilità di esercizio della libertà politica; che le prerogative individuali sono illusorie per chi non è in grado di risolvere il problema del pane quotidiano.
Processo al capitalismo? Direi qualche cosa di più: direi processo ad una libertà che della vera libertà non aveva che un volto menzognero, perché aveva soltanto garantito la libera sopraffazione gabellata per libera concorrenza; lo sfruttamento tra le classi e tra i popoli; l’insopportabile costo umano della produzione; il caos dei prezzi.
Dunque, prima di tutto, il processo alla falsa libertà — dico a ragion veduta, falsa più che incompleta — e il processo al feudalesimo economico che garantisce il carattere beneficamente e pacificamente rivoluzionario della nostra Carta costituzionale.
6 MAGGIO 1947
Fonte originale http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed113/sed113nc.pdf (PAG 26)
Fonte alternativa https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/04p1/03p1t3/02/index.htm?002.htm&2
ILIO BOSI: Oggi le classi che detengono la grande proprietà dimostrano di non volersene servire nell’interesse collettivo; dimostrano che vogliono servirsi delle loro proprietà per il loro interesse individuale, e qualche volta per colpire l’interesse collettivo. Questa è la questione che noi dobbiamo porci quando si parlerà nella Costituzione di colpire i monopoli. La grande proprietà è un monopolio che impedisce non soltanto la possibilità di possedere a milioni di lavoratori, ma impedisce la possibilità di svilupparsi a tutta l’economia nazionale.
7 MAGGIO 1947
Fonte originale http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed115/sed115nc.pdf (PAG 10, 22-23)
Fonte alternativa https://www.nascitacostituzione.it/05appendici/04p1/03p1t3/02/index.htm?002.htm&2
GIUSEPPE DI VITTORIO: I monopoli economici, la cui realizzazione scandalizza ancora qualcuno anche nella nostra Assemblea, non hanno nessuna funzione socialmente utile. Sono i monopoli economici che anche nel nostro Paese sono giunti a limitare artificialmente la produzione e in molti Paesi sono giunti a distruggere anche quantità di prodotti per mantenerne elevati i prezzi, mentre una parte notevole delle masse lavoratrici e popolari non aveva la possibilità di accedere a quei prodotti, di cui avrebbe avuto estremo bisogno.
Bisogna liberare la nostra economia nazionale dai monopoli e dal latifondo per riuscire a realizzare le premesse di una rinascita economica ed effettiva del nostro Paese ed anche di un profondo rinnovamento democratico dell’Italia.
Bisogna persuadersi, onorevoli colleghi, che nelle masse popolari del nostro Paese è penetrata profondamente la coscienza che i diritti esclusivamente politici non bastano più; è penetrata la coscienza della necessità della realizzazione delle riforme sociali di struttura della economia, che sono la sola garanzia effettiva e positiva del godimento dei buoni diritti che la Carta costituzionale riconoscerà ai lavoratori italiani.
GUSTAVO GHIDINI (Presidente della terza Sottocommissione): Il solo che abbia portato la discussione in un campo veramente generale e fondamentale è stato l’onorevole Maffioli che ha posto a base del suo ragionamento una concezione dello Stato profondamente diversa da quelle che ha animato la parola de’ suoi stessi colleghi. Infatti è certo che non tutti i suoi amici accedono all’opinione da lui espressa. Egli in sostanza professa la concezione dello Stato agnostico; dello Stato che non deve intervenire nel campo economico; che lascia completamente libera l’iniziativa privata; dello Stato che non agisce come elemento attivo di coordinazione, di controllo e di propulsione del fatto economico, ma piuttosto come gendarme dell’ordine esteriore, di quell’ordine dietro il quale si riparano il privilegio di pochi, la miseria di molti e la ingiustizia per tutti.
Ma l’onorevole Maffioli stesso ha sentito tutta l’anacronisticità dal suo pensiero tanto che a un certo punto (se ho ben compreso) ha soggiunto, per temperarne l’asprezza, che bisogna impedire il formarsi del super-capitalismo. Ma egli non si è accorto che in tal modo contraddiceva alle sue stesse premesse. Se si lascia libero sfogo alla legge della libera concorrenza e alla libera iniziativa animata solo dal fine del profitto personale, si arriva pur sempre al supercapitalismo e così a quelle conseguenze che lo stesso onorevole Maffioli depreca, fra le quali primeggia la guerra tremenda che fu la rovina di tanti popoli.
Tutti più o meno ammettono l’intervento dello Stato nel settore economico: tutti ammettono che lo Stato debba controllare e coordinare le iniziative economiche. Sarà questione di limiti: si va da coloro che si lanciano verso l’avvenire con tutta la foga della loro aspirazione verso l’ideale della giustizia sociale a coloro che camminano più lenti, segnando il passo, come i liberali, ma che pure camminano. Soltanto l’onorevole Maffioli si è fermato sugli spalti dell’antico liberismo, come se in cento anni nessun passo in avanti avesse compiuto la evoluzione sociale.
È possibile parlare di un progetto social-comunista quando si afferma all’articolo 38 che la proprietà privata è assicurata e garantita e all’articolo 39 che l’iniziativa privata è libera? Non è dunque un progetto social-comunista.
È vero che sono affermati vincoli e limiti al diritto di proprietà. Ci sono limiti, perché non si vuole che si formino delle grandi concentrazioni di proprietà che sottraggono all’iniziativa privata grandi strati di produttori e costituiscono a un tempo delle potenze economiche tali che, se anche potessero condurre ad un grado di produttività più elevato, portano altresì a quella potenza politica che, non avendo altro intento che il vantaggio patrimoniale privato, disconosce e travolge gli interessi materiali, morali e politici della collettività scatenando quelle conflagrazioni che ci hanno portato alla miseria attuale.
Noi invece vogliamo che la proprietà si conformi alla sua funzione sociale. Del resto non è cosa nuova se tale concetto è affermato anche nel Codice civile fascista. Non è che io voglia mutuare questo concetto dal fascismo, per quanto, se c’è una cosa buona, io non abbia difficoltà ad accoglierla dovunque provenga perché la mia intransigenza non arriva fino alla cecità. Ma il concetto esisteva anche prima del fascismo ed esiste in tutte le legislazioni del mondo civile.
Questi discorsi, riletti dopo oltre 70 anni, fanno venire i brividi e ci fanno riflettere su quanto oggi stiamo tornando indietro, molto indietro. Se non torneremo ad avere una classe politica con il livello culturale dei nostri padri costituenti, l’Italia sarà spazzata via.
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