Moneta a debito oppure non a debito? idee per orientarsi

Perché chiedere pericolosissimi prestiti internazionali se in casa nostra abbiamo risorse sufficienti ad affrontare la crisi sistemica in atto?

di Francesco Cappello

Uno scudo a protezione del risparmio privato e del Paese
Perché chiedere pericolosissimi prestiti internazionali se in casa nostra abbiamo risorse sufficienti ad affrontare la crisi sistemica in atto ed organizzare la rinascita del paese?

Per chi non lo sapesse, noi italiani, abbiamo un risparmio privato pari a quasi il doppio del debito pubblico! 4200 miliardi da impiegare virtuosamente, proteggendoli allo stesso tempo, ed efficacemente, da instabilità finanziarie e dalla normativa bail-in introdotta dall’unione bancaria europea. Esiste un preciso piano di attacco al risparmio italiano da parte di certa finanza a cui è necessario non prestare il fianco. Esso va protetto e valorizzato secondo i dettami della Costituzione che al primo comma dell’art. 47 afferma: la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Lo si può fare tramite l’emissione di titoli di Stato: “buoni di solidarietà e protezione“ riservati al risparmio nazionale secondo la proposta originale di G. Grossi. Non farlo nelle condizioni attuali del paese sarebbe una scelta criminale.


Moneta nazionale o economia di puro debito?
Come dice l’ex Presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan: uno Stato che emette la propria valuta, ha zero possibilità di fallire.
Oggi, alla categoria dei debitori appartengono non solo famiglie e imprese ma interi popoli e le loro organizzazioni statali.
L’economia di puro debito e il relativo conflitto tra debitori e creditori è a uno snodo cruciale. Essa si è affermata con la seconda Repubblica, conseguenza della trattativa Stato-mafia, in opposizione alla prima, frutto della Resistenza che diede vita alla nostra Costituzione antifascista, anti nazista, antidoto primo alla riaffermazione dell’ideologia liberista.
L’economia di puro debito estrae ricchezza dal paese intero, il suo strumento principale essendo la moneta a debito. Come è noto, la legge del profitto prevede che la capacità di onorare un debito da parte di chi lo contrae dipende dal reddito che il debitore riesce a conseguire. Tale sistema risulta sostenibile se il reddito ottenuto, in seguito al successo degli investimenti effettuati, si rivela generalmente positivo permettendo così il pagamento del debito e il godimento di un profitto residuo. Nell’era pre-covid, il sistema finanziario, a garanzia della sua redditività crescente, si è nutrito del pompaggio di “droga monetaria“ di banca centrale e dell’asservimento alla finanza speculativa privata delle finanze pubbliche di quegli stati, che avendo rinunciato, in deroga alle loro costituzioni, all’esercizio della loro sovranità, ed in particolare a quella monetaria, si sono ridotti a procurarsi a debito, sui mercati finanziari, il denaro necessario per le proprie economie e gli investimenti pubblici. Questi cambiamenti hanno aperto le porte all’impoverimento graduale, ma inesorabile, anche di economie come la nostra che erano state rese forti da scelte di politica economica fatte in piena coerenza con i criteri inscritti nella Costituzione antifascista del ’48.
L’economia del debito, connaturata al liberismo economico, si è realizzata, in barba al titolo 3 della Costituzione, in tandem con il blocco progressivo della leva del cambio, la rinuncia al controllo del tasso di interesse da parte del Tesoro e più in generale all’esercizio della sovranità monetaria; l’apertura all’indebitamento verso soggetti non residenti (i cosiddetti mercati finanziari), possibile grazie alla liberalizzazione del commercio dei capitali su scala globale, senza alcuna regolazione e controllo (dall’85 in Europa su proposta di J. Delors) ha fatto il resto.
Equilibri finanziari al ribasso, nel passato recente, sono stati il risultato del rispetto di quei vincoli mortiferi inscritti nei regolamenti europei, che hanno comportato politiche di tagli ai servizi pubblici e austerity, incremento abnorme dell’imposizione fiscale, processi di privatizzazione selvaggia, stretta asfissiante sulla spesa pubblica, distruzione dello stato sociale, schiavizzazione progressiva della classe lavoratrice.
L’era post-covid ha reso, però, insostenibile l’equilibrio fondato sulla distruzione e trasferimento della ricchezza del paese ai pochi rappresentanti dell’aristocrazia finanziaria. Il fermo quasi totale delle attività produttive comporterà, se non si intervenisse adeguatamente, il fallimento prevedibile di un numero enorme di aziende e milioni di dipendenti licenziati; una necrosi a carico dell’economia reale che moltiplicherà tragicamente i fattori determinanti la redditività negativa del sistema economico non più in grado di far fronte alla sostenibilità del debito. I vincoli europei, inscritti nei trattati ed in particolare nel patto di stabilità, hanno già rivelato tutta la loro impraticabilità. Strizzare ulteriormente la spesa pubblica con le politiche di austerity non è più praticabile. Se si insistesse in tale direzione, si accelererebbe il collasso del sistema.
In sintesi, il covid ha portato alla luce l’insostenibilità strutturale del monopolio del sistema della moneta privata a debito su cui si fonda il sistema capitalista.

elaborazione grafica di Elena Montella

Eppure, la riunione dell’eurogruppo di giovedì scorso, a fronte delle difficoltà bibliche a carico dell’economia reale, ha individuato strumenti di “aiuto”, fondati ancora una volta su facilitazioni a fare debito a ogni livello.

Viceversa, la prima cosa da fare sarebbe il sostegno della domanda interna, coprendo, a fondo perduto, da una parte i mancati fatturati delle aziende, dall’altra garantendo la capacità di consumo a quei cittadini che a causa della crisi perdessero potere d’acquisto trovando nel contempo, quando possibile, il modo di confinare i loro acquisti ai prodotti italiani.
Oltre a sostenere la domanda sul lato dei consumi risulta cruciale promuovere gli investimenti, in primis quelli più urgenti, come nel caso della sanità – riportando in primo piano il ruolo della prevenzione come nell’originaria riforma 833/78 nella consapevolezza che la salute dei singoli è in stretto rapporto con quella della comunità e la salvaguardia ambientale del territorio – affrontando il nodo delle case farmaceutiche private che lasciano prevalere i propri interessi di profitto contro la salute pubblica; esse vanno immediatamente nazionalizzate e riportate sotto stretto controllo pubblico. Urgente anche affrontare il degrado delle nostre infrastrutture (siamo prossimi al collasso infrastrutturale).
Più in generale è necessario un grande piano di investimenti pubblici in tutti quei settori dove il fatturato risulta inferiore ai costi, aree in cui la logica capitalista mostra tutti i suoi limiti: dal welfare universale, alla cura del territorio, delle persone, dell’ambiente, l’istruzione, la produzione artistica, la ricerca non strettamente finalizzata alla produzione. È necessario invertire rapidamente la rotta, cogliendo l’opportunità del collasso definitivo della già agonizzante globalizzazione, puntando in generale sull’economia interna e lo sviluppo di quella locale, assecondando i necessari processi di riconversione e sostituzione delle importazioni, abbandonando il primato sinora conferito alle esportazioni a cui il precedente regime ci aveva costretto. La rete delle relazioni tra imprese legate l’una all’altra dalla produzione in tempo reale, sincronizzata, senza scorte di magazzino (Just in time), delocalizzata, secondo convenienza, in aree diverse del mondo, rivela nella contingenza attuale tutta la sua fragilità. È sufficiente l’interruzione della fornitura proveniente da una singola azienda per arrivare al fermo dell’intera catena produttiva.
Bisognerà perciò procedere velocemente, verso una più generale ristrutturazione dello scopo dell’economia, quale risposta ai bisogni interni, valorizzando ai fini della trasformazione necessaria l’uso di moneta non a debito.

È perfettamente inutile facilitare l’indebitamento delle imprese con le banche per affrontare l’emergenza (garanzie statali offerte alla banche dal bazooka di Conte) seppure fossero, e non lo sono, finanziamenti bancari a tasso zero perché le imprese non chiedono prestiti per investimenti a fronte di un’economia in piena paralisi. La verità, allora, è che si vogliono mettere le imprese, nella condizione di indebitarsi semplicemente per pagare le tasse e l’anticipo sulle tasse a giugno, per salvaguardare il gettito fiscale con l’unico risultato di accelerare e assecondare la distruzione del tessuto produttivo del paese che si regge per il 95% su imprese micro. Se dovessero cedere le microimprese italiane il rischio è di rapidissima, inevitabile, diffusione della miseria a tutti i livelli.

Insistere sulla via del debito per affrontare la crisi condurrebbe, piuttosto, alla cannibalizzazione dell’economia reale, ad opera dei vampiri dell’aristocrazia finanziaria, a cui si trovano esposti tutti quei paesi che privi di una vera banca centrale, disposta ad usare moneta non a debito, non fossero in grado di bloccare in tempo utile la distruzione del proprio tessuto produttivo. Il Meccaninismo Europeo di Stabilità MES e le Outright Monetary Transactions OMT, sono armi di distruzione di massa della ricchezza e della sovranità dei paesi vittime della guerra economica. Essi sono stati predisposti per quei paesi che, in seguito a downgrading decretato dalle agenzie di rating, non riuscissero a continuare a piazzare i propri titoli sui mercati finanziari portando il paese in fallimento (default). Il MES, i soldi se li fa prestare dagli stati e siccome non saranno sufficienti, il resto arriveranno da prestiti internazionali – orditi dalla speculazione internazionale. In questo caso, infatti, sono previsti “aiuti“ consistenti nell’applicazione del memorandum del MES agito dalla Troika o dalla sola BCE nel caso delle OMT con annesso commissariamento e governo tecnico secondo i criteri dettati dalla BCE, dalla Commissione europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Se lasciassimo che si realizzasse questo scenario, cascando nella trappola che ci preparano da tempo, ci dovremmo aspettare di tutto: dai prelievi forzosi dai conti correnti (patrimoniali), al dimezzamento dei salari pubblici e delle pensioni, il blocco dei conti correnti, la smaterializzazione della moneta, la svendita selvaggia di beni pubblici, la drastica riduzione della spesa finalizzata ai servizi pubblici ecc. ecc.. Il luogo del contendere è perciò, oggi, sulla natura degli strumenti più opportuni per affrontare la crisi sanitaria e lo shock economico che ne sta emergendo. La doppia crisi si è abbattuta su un’economia reale e finanziaria già in evidente e conclamato stato patologico.

Del motivo della ritrosia intorno ai coronabonds si è già detto. Si tratti di strumenti legati alla moneta a debito che nel caso di raggiungimento di un accordo intorno alla loro implementazione sarebbero comunque disponibili solo tra uno, due mesi… Un tempo infinito data la gravità della situazione. Il vantaggio, essendo titoli di debito condivisi tra paesi diversi, starebbe nell’esorcizzare gli spread tra titoli di paesi diversi. Le OMT, in particolare, entrerebbero in azione insieme ai prestiti del FMI qualora fosse dichiarata la insolvibilità del sistema Italia abbastanza certa nel caso in cui si provocasse, per inadeguato e intempestivo intervento, una morìa generalizzata del sistema produttivo italiano.
Se si intervenisse utilizzando unicamente strumenti a debito si avrebbe un aumento enorme del debito pubblico e privato e una diminuzione catastrofica del reddito nazionale (PIL) con conseguente aumento, fuori controllo, del rapporto debito/PiL. L’aumento patologico di tale parametro sarà usato a legittimazione degli interventi su descritti di MES e OMT. I prestiti internazionali, seppure a tasso zero, devono essere restituiti e qualora non ne fossimo capaci apriremmo le porte di casa alle peggiori delle speculazioni internazionali che abbiamo viste tristemente in azione nei tanti paesi che ne sono stati vittima.

La BCE che non c’è
Entrando nell’euro ci siamo privati di una banca centrale con funzione di tesoreria dello Stato, quale prestatore di ultima istanza, conferendo tale ruolo, vitale per l’economia del paese, alla BCE.
La banca centrale francese, per bocca di François Villeroy de Galhau, che è anche membro del consiglio direttivo della Banca centrale europea, non si fa scrupolo a dichiarare apertamente che stamperà moneta (Helicopter money) per assistere le aziende francesi. French central banker floats printing money to hand to companies è il titolo comparso sul FT lo scorso 14 aprile.

Si ricordi che a partire dalla crisi del 2007/8 le banche centrali, per tenere in piedi il sistema della finanza mondiale, hanno iniziato una aperta immissione di liquidità, che non hanno bisogno di prendere in prestito da nessuno perché possono crearla dal nulla, e l’hanno usata al fine di stabilizzare i mercati finanziari. Analogamente la recente risposta della BCE alla recessione economica è consistita nell’avvio di un programma di acquisto di obbligazioni da 750 miliardi di euro diretti al sostegno dell’economia finanziaria. Ci si chiede allora come mai si insiste, anche a fronte di una crisi sitemica come quella in atto ad insistere all’interno del paradigma della scarsità finanziaria, quando apertamente, da più di un decennio, i programmi di facilitazione monetaria (Quantitative easing) hanno inondato e sostenuto la finanza speculativa con la loro droga monetaria? Un arma peraltro già spuntata, a doppio taglio, dati i tassi zero e addirittura sotto zero che le banche centrali si sono trovate costrette ad usare. Oggi la Federal Reserve, usa la stessa potenza di fuoco ma per contrastare la crisi dell’economia reale! Così la Banca d’Inghilterra. Perché la BCE non fa altrettanto!? Certo è prevedibile che all’Helicopter money si oppongano i membri più conservatori del consiglio direttivo della BCE, come il capo della Bundesbank tedesca Jens Weidmann, ma perché, allora, la politica non cambia il proprio target mettendo nel mirino il ruolo possibile della BCE, nell’ora decisiva dell’emergenza, piuttosto che infrangere la propria azione presso l’eurogruppo perdendo tempo prezioso!?
Il ruolo primario inscritto nello statuto della BCE è quello, più volte ribadito, del mantenimento della stabilità dei prezzi. Prima che i prezzi comincino a variare paurosamente, in su, per quei prodotti di prima necessità che divenissero non più facilmente reperibili, e in giù, a causa dei concomitanti effetti deflazionistici, la BCE dovrebbe, allora, sentirsi in obbligo di intervenire, anche a soddisfazione del suo mandato, sostenendo a fondo perduto l’economia reale come ha fatto con quella finanziaria, facendo arrivare risorse finanziarie direttamente alle persone per incoraggiare i consumi, agli stati per gli investimenti pubblici e alle imprese per coprire i fatturati mancati. La BCE potrebbe far arrivare risorse finanziarie all’economia reale in due diversi modi. Mettendo all’attivo del suo bilancio, come spiega efficacemente N.Galloni, titoli della pubblica amministrazione, risultati, ad esempio, dalla cartolarizzazione di suoi crediti inesigibili e al passivo il corrispondente valore in euro che farebbe così pervenire alle casse dello Stato. Con tale tecnica contabile, a partita doppia, la BCE potrebbe finanziare gli stati continuando a mascherare la creazione monetaria, evitando, cioè, di farvi ricorso apertamente anche se, a rigore, potrebbe intervenire direttamente a salvaguardia del tessuto produttivo, come stanno facendo alla luce del sole, altre banche centrali, proteggendolo da fallimenti e chiusure di milioni di unità produttive, consapevole che il sottostante dell’economia finanziaria, rimane in ultima analisi, l’economia reale.
All’élite finanziaria, cui Draghi appartiene, preme, però, salvaguardare il paradigma della moneta a debito da cui il recente invito agli stati a fare tutto il debito necessario per evitare la distruzione della base produttiva con la promessa della cancellazione del debito a “guerra” terminata. Invito, per ora, lasciato cadere nel vuoto.

Possiamo interrompere la dipendenza dai prestiti internazionali
Affidarsi ulteriormente ai prestiti internazionali (Mes, Fmi, nuovo piano Marshall, ecc.) ci esporrebbe senza motivo a delle condizionalità in grado di cambiare radicalmente, e in peggio, la nostra condizione economica, sociale e civile, a tempo indeterminato. È, piuttosto, imperativo valorizzare risorse finanziarie endogene, in primo luogo quelle rappresentate dal risparmio privato, a cui si è già accennato. Esso sarebbe più che sufficiente a ricomprare quei titoli di cui gli operatori speculativi volessero disfarsi prima delle rispettive scadenze, a prezzi più bassi e a rendimenti più alti, fornendo allo stesso tempo al paese una strategia per liberarsi dal giogo dei mercati finanziari ed uno strumento potente di riorganizzazione della ripresa economica e dello sviluppo del paese, su basi finalmente sostenibili.

Dalla società civile, associazioni, economisti ecc. arrivano proposte di grande valore e qualità che vengono colpevolmente ignorate dalle forze di governo malgrado la loro valenza risolutiva della crisi in atto, alle quale questa dirigenza politica non oppone che false soluzioni peggiorative del male che vorrebbero curare. Sembrano, infatti, voler usare lo stato di emergenza amplificandolo ad arte. Perché? Forse per creare artificiosamente uno stato di cose su cui possa aver presa la speculazione della finanza internazionale? Il piano di intervento di cui parliamo va messo in atto prima possibile! Se si lasciasse morire il nostro sistema produttivo qualsiasi intervento anche con moneta non a debito non potrebbe avere l’effetto desiderato rischiando, a quel punto, di innescare facilmente processi inflattivi. D’altronde stampare moneta su un’isola deserta o meglio desertificata, non fa crescere magicamente la ricchezza reale. L’inflazione del dopoguerra di Weimar ne è un esempio storico. In quel caso, la distruzione del tessuto produttivo era intervenuta a causa dei bombardamenti…

Coinvolgere le banche pubbliche come fa da tempo la Germania è un’altra strategia possibile. Ci si chiede come mai non venga valorizzata. Le banche pubbliche (Medio Credito centrale, Cassa Depositi e Prestiti, Monte dei Paschi di Siena) potrebbero acquistare BTP con i quali procurarsi successivamente liquidità a bassissimo costo presso la BCE. Le banche pubbliche di investimento possono avere un ruolo importantissimo offrendo al risparmiatore un porto sicuro in titoli pubblici di piccolo taglio, quali gli ipotizzati “buoni di solidarietà e protezione” riservati al risparmio nazionale con cui finanziare le opere pubbliche ritenute necessarie. Si veda in particolare l’analisi di Nicoletta Forcheri.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze potrebbe emettere biglietti di stato o statonote, già sperimentati negli anni ’70 da Aldo Moro con la consulenza economica di Federico Caffè, quale moneta legale, sovrana, non a debito, a circolazione interna, che nessun trattato europeo può impedirci di emettere. Essi possono essere usati per finanziare la spesa sociale di cui necessitiamo e mobilitare tutti i fattori produttivi inespressi del nostro paese senza peggiorare i conti pubblici anzi migliorandoli.
Avendo lo stesso segno algebrico delle tasse (moneta non a debito) possono sopperire al mancato gettito fiscale che si verificherà a causa del blocco produttivo in atto, coprendo ogni esigenza di spesa per la quale venissero a mancare le relative coperture. Per approfondimento si veda Nino Galloni su byoblu

I certificati di credito fiscale, ossia agevolazioni fiscali in forma di crediti, sconti, detrazioni) trasferibili, per almeno due anni in forma di moneta fiscale, non legale e non a debito, da un detentore all’altro, potrebbero affiancare le statonote promuovendo investimenti e manovre espansive.
Per approfondimento vedi Marco Cattaneo su byoblu.

Possibili anche conti di risparmio pubblici (CdR) , con somme trasferibili ad altri titolari di CdR pubblici. Si tratta di un’alternativa per lo stato ai titoli pubblici. In pratica conti correnti dei risparmiatori italiani direttamente presso il MEF-Tesoro o presso Medio Credito Centrale con convenzione per i servizi di sportello e prelievo bancomat con Poste italiane ed altri istituti di credito.

È questa la strada maestra per ristabilire il primato della politica sull’economia in grado di rendere possibile l’attuazione di una vera pianificazione economica sociale e democratica.
Condizione necessaria sarà il ridimensionamento drastico di quella finanza avvoltoio che si nutre delle crisi dell’economia reale, e l’eliminazione di quel mercato abusivo del denaro che essa veicola, sorgente primaria di posizioni di rendita all’origini di enormi diseguaglianze. Bisogna tornare ad impedire la libera circolazione dei capitali su scala globale per poter sperare di dare un colpo di grazia a quei paradisi fiscali fioriti nel mondo grazie a licenze e deregolamentazioni. Oggi è urgente attivare controlli serrati sui mercati dei capitali sino a minimizzarli per favorire una finanza di pace al servizio dell’economia reale.
Possiamo evitare, di chiedere elemosine in forma di prestiti internazionali che rischiano di ucciderci assoggettandoci alle pretese di quei poteri sovranazionali e quelle superpotenze che pretendono di offrirci aiuti, solo apparentemente disinteressati, come nel caso recente di Trump che ordina l’“assistenza“ all’Italia su “richiesta“ del primo ministro Conte.
Basta saperlo, volerlo, e lottare perché si riaffermi il buon senso perduto.

https://www.francescocappello.com

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