In Europa paese che vai… cura che trovi

L'Europa si muove in modo scoordinato per affrontare la crisi economica ventura causata dal Covid-19. Ricette diverse per ogni paese, ma rimane il peso dei vincoli.

di Francesco Cappello.

Il virus ha già avuto la meglio sull’inesistente sistema immunitario europeo
Non ci vuole un veggente per predire che il crollo dei consumi e dei fatturati in praticamente tutti i settori determineranno un collasso delle entrate fiscali dello stato. Il presidente di Confindustria ha calcolato in 100 miliardi al mese la perdita potenziale del paese. Se l’incertezza si trascinasse ancora per molto la sopravvivenza di intere filiere produttive sarebbe a rischio.

elaborazione grafica a cura di Elena Montella

Dopo esserci privati del controllo del Tesoro sul tasso di interesse (divorzio dell’81 tra tesoro e banca centrale) affidandolo al mercato, abbiamo esternalizzato il debito lasciando che a comprarne quote crescenti, con la liberalizzazione della circolazione dei capitali negli anni 80, fossero soggetti non residenti. Come se non bastasse ci siamo privati della nostra moneta nazionale e di una banca centrale prestatrice di ultima istanza, nominando il debito in valuta straniera, alterandone così la natura, da virtuoso strumento di progresso economico e civile del paese (1) secondo i dettami dell’art. 47 della Costituzione, a strumento di assoggettamento al dominio della finanza internazionale e ai poteri sovranazionali, che hanno cambiato involutivamente il destino del nostro paese. La moneta unica ha, inoltre, comportato la abolizione della leva del cambio a vantaggio dei paesi forti dell’eurozona e a netto svantaggio dei paesi più deboli (PIIGS), costretti, nel tentativo di conservare la competitività del nostro export, a svalutazione interna e in particolare a deflazione salariale che ha sottratto ulteriore plusvalore alle remunerazioni dei lavoratori frantumandone nel contempo i diritti con la precarizzazione del rapporto di lavoro.

Un’ingiusta bilancia
Cosa aspetta questo governo ad eliminare l’equilibrio di bilancio tra entrate ed uscite introdotto da Monti in Costituzione insieme al Fiscal Compact (art. 81)!!? La congiuntura che stiamo attraversando impone lo svincolamento dalla trappola ordoliberista con la quale i precedenti governi tecnici hanno lasciato incaprettare il nostro paese. Sarebbe un primo passo simbolico e doveroso dettato se non altro dalla emergenza di dimensioni bibliche in corso.
Con il primo (equilibrio di bilancio) si pretende di portare a zero la spesa in deficit; con questo vincolo attivo, infatti, la spesa pubblica che ci si può permettere è limitata dal complesso del gettito fiscale, cosa che, se prima del coronavirus era già insopportabile, oggi sarebbe del tutto criminale… Un terzo delle entrate fiscali annuali, infatti, le usiamo per rifinanziare i titoli del debito (230 mld) e il pagamento degli interessi (70 mld). Un terzo di quanto paghiamo in tasse finisce nel pozzo senza fondo del debito e non viene, quindi, restituito in servizi alla cittadinanza.
Il fiscal compact ci impone un ridimensionamento del rapporto debito/PiL al 60% in 20 anni che se eseguito alla lettera ci costringerebbe ad ulteriore spesa quasi 50 miliardi all’anno da aggiungere agli interessi (70 mld) di cui sopra. Tutti soldi da trovare a debito sui mercati finanziari … pagare debito con debito … usando moneta a debito … follia totale… Si valuti, per di più, che il PiL crollerà (le stime del crollo fanno paura) e il debito, se nulla cambierà nei modi di finanziamento dello Stato, aumenterà. L’aumento del numeratore e la diminuzione del denominatore determineranno un aumento mostruoso del rapporto debito/PiL … Il contenimento di tale rapporto secondo la logica del fiscal compact sarebbe assolutamente insostenibile.

Si consideri, oltretutto, che nella speranza di rallentare la rapidità di crescita del debito, nell’ultimo trentennio, abbiamo sempre fatto avanzo primario! Abbiamo, cioè, speso meno di quanto incassavamo in tasse, per poter destinare al pagamento del servizio al debito quanto si evitava di spendere in servizi pubblici (tra cui la sanità…), la spesa previdenziale, ecc. demonizzando qualsiasi spesa pubblica, finalizzata a tutela e cura di territorio e ambiente, cose e persone; accettando il blocco delle assunzioni, l’innalzamento dell’età pensionabile, il collasso infrastrutturale, permettendo solo privatizzazioni (anche in forma di aziendalizzazione dei servizi pubblici da UnitàSanitarieLocali ad AziendeSL, ecc.) e svendita dei beni comuni, persino del demanio, nella speranza di far cassa al fine di contenere l’aumento del debito. Corollario di tale condizione, la frustrazione completa della politica a concepire e concretare qualsiasi seria pianificazione finalizzata alla costruzione di Bene Comune.

Tali vincoli, da cui oggi hanno preso apertamente le distanze Germania e Francia, non possono continuare a valere solo per i paesi della periferia dell’eurozona!

Solo un’acuta forma di ignoranza mista a presunzione possono continuare a sostenere le scelte fatte dalle classi dirigenti che si sono succedute, tutte accomunate dalla accettazione e assecondamento acritico dei vincoli capestro che ci sono stati imposti. Se dovessero, persino in una situazione come quella che si sta determinando con l’entrata in scena del coronavirus, continuare a mostrarsi proni agli assurdi vincoli europei, frutto dell’ideologia ordoliberista, strumentale al mercantilismo schiavistico che la Germania ha potuto sin qui praticare, a discapito dei paesi più deboli dell’eurozona, il nostro paese sarebbe condannato a perdere anche l’ultima speranza di salvezza.

Normalmente, infatti, siamo sempre riusciti a piazzare i nostri titoli di stato sui mercati finanziari perché il nostro è un paese che finora si era sempre sostenuto, malgrado tutto, lavorando con ostinata determinazione, riuscendo così a remunerarli, seppure a costi alti e a pagare il relativo servizio al debito. Se l’attività economica fosse bloccata per molto tempo ancora i nostri titoli, già classificati, dalle criminali e complici agenzie di rating, prossimi al livello spazzatura, rischierebbero di subire il colpo di grazia (downgrading a titoli spazzatura). Se accadesse, nessuno li acquisterebbe più e coloro che ne sarebbero in possesso se ne vorrebbero liberare. Le banche, a causa dei criteri di rischio imposti dagli Accordi di Basilea (2), non potrebbero più acquistarli sul mercato secondario vanificando l’annunciato QE della BCE.
Solo un acquisto diretto di essi sul mercato primario da parte della BCE darebbe il risultato sperato ma quest’ultima opzione è espressamente vietata dal suo statuto. In poco tempo il nostro paese sarebbe dichiarato in stato di default (fallimento)! Ecco perché preparano il MES e i prestiti del FMI, per mettere le mani sulle immense ricchezze italiane e degli italiani…
È di questi giorni il taglio dell’outlook di 15 banche italiane a causa del deterioramento della situazione economica per l’emergenza coronavirus. Lo stigma di Moody’s si abbatte su parte consistente del nostro sistema bancario dopo che l’unione bancaria europea ha acceso la miccia del bail in minacciando così il risparmio privato italiano, ben 4300 miliardi, che viceversa potrebbe essere valorizzato virtuosamente quale fonte interna di finanziamento secondo le indicazioni riproposte anche recentemente da Guido Grossi.

In un tale frangente, Matteo Renzi non perde l’occasione per chiedere di abbattere la nostra Costituzione, frutto della Resistenza antifascista e antinazista, chiedendo, Repubblica presidenziale, Stati Uniti d’europa, e applicazione del MES.
Al MES abbiamo già destinato 60 miliardi ottenuti grazie a moneta presa a prestito sui mercati finanziari. Se dovessimo accettare “gli aiuti” del MES, come chiedono Renzi, Conte, Gentiloni e Gualtiero, potremmo ottenerli a prestito, come previsto dalle sue norme, pagando cioè altri interessi. Morale pagheremmo interessi due volte sugli stessi soldi e siccome quei soldi saranno concessi alle banche perché ci facciano i loro prestiti (mes = fondo salva banche), anche tre volte… con l’aggravante che ci toccherà, oltretutto, sottostare alle condizionalità, in forma di piani di aggiustamento strutturale, che significano svendita del patrimonio, tagli ai servizi pubblici e previdenziali, riduzione a zero della spesa pubblica per ogni cosa, compresa quella per territorio e ambiente… ecc..
Renzi e gli altri chiedono di usare moneta doppiamente a debito in una condizione in cui la nostra economia subirà un tracollo di dimensioni mai viste …
Se non possiamo lavorare per pagare il debito dovremo svendere ciò che ci rimane e non potremo più permetterci lussi quali, sanità pubblica, scuola pubblica (faremo solo lezioni a distanza?) ecc., giungeremo a dimezzare gli stipendi pubblici come in Grecia? L’altra “soluzione” invocata da molti sono quegli strumenti di debito comune che vanno sotto il nome di eurobonds che se da una parte sembrerebbero una soluzione atta a calmierare i mercati (riunire i debitori può rassicurare i creditori), dall’altra rischia di comportare, ai fini della sua praticabilità, la cessione parziale o totale dell’ultima sovranità, quella fiscale, ancora esercitata nel nostro paese, oltretutto preziosa per la possibilità che offre di valorizzare strumenti finanziari interni quali la moneta fiscale e le statonote, entrambe forme di moneta non a debito.

Viceversa la Germania (e anche la Francia), per affrontare l’emergenza economica, si muove apertamente al di fuori dei vincoli europei, approntando piani che utilizzeranno da 700 a 1500 miliardi di euro, che non peseranno sul loro debito pubblico grazie a diverse regole di contabilizzazione e valorizzazione delle loro banche pubbliche (3), procedendo nel contempo alla nazionalizzazione delle proprie imprese strategiche. Il sostegno a imprese, lavoratori autonomi, famiglie del governo tedesco si concretano in aiuti finanziari a fondo perduto non rimborsabili, fino a 9000 euro al mese per tre mesi per gli autonomi con zero sino a 5 dipendenti, 15000 euro fino a 10 dipendenti ecc,… come qui testimoniato.

La saggezza della zecca
Ogni zecca sa che non è saggio uccidere chi la nutre. Così Mario Draghi, conscio della eccezionalità del rischio sistemico a carico del sistema produttivo (economia reale), sottostante macroscopico di ogni attività finanziaria, durante un suo intervento alla Global Investment Conference a Londra e in un articolo sul FT, propone un’inversione di rotta. Draghi riabilita il tanto vituperato deficit, quale strumento di salvezza! Per affrontare una crisi mai vista prima che “non è ciclica”, bisogna ripartire dal “corretto ruolo dello Stato”, improvvisamente invocato perché usi “il proprio bilancio per proteggere cittadini ed economia contro gli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire” «La perdita di reddito del settore privato … deve essere assorbita dai bilanci pubblici. Il ruolo dello Stato è utilizzare i crediti ottenuti per proteggere cittadini ed economia contro gli shock di cui il settore privato non è responsabile». La BCE dovrebbe quindi trovare il modo di indebitare direttamente stati, privati e famiglie, prestando loro tutta la moneta necessaria a superare l’emergenza economica. Il rischio più grande da scongiurare essendo quello di una diminuzione drastica della capacità produttiva a causa del fallimento e della chiusura di interi settori produttivi. Per proteggerli «serve una immediata iniezione di liquidità, essenziale alle aziende per coprire le spese operative durante la crisi, si tratti di grandi o piccole». Per evitare il peggio bisogna «mobilitare l’intero sistema finanziario: mercato obbligazionario, sistema bancario, in alcuni paesi anche quello postale».

Un drago con le ali d’angelo
Gli stati, però, almeno nell’area euro, non possono emettere una loro valuta internazionale perché tale emissione è stata affidata dai trattati alla BCE. Ci si chiede, perciò, se l’espansione del debito pubblico proposto da Mario Draghi riproporrà nel prossimo futuro austerità e rigore per far quadrare i conti pubblici. Draghi appare però ben consapevole del fatto che la salvezza dell’economia reale passa per una cancellazione seppure parziale del debito insieme a misure urgenti atte a compensare i fatturati mancati da fare arrivare a imprese, partite iva, famiglie e così via. Egli sembra piuttosto immaginare un debito pubblico aggiuntivo in grado di colmare le voragini debitorie private, di banche, aziende e società finanziarie. Con tale strategia, conscio della quasi certezza del collasso del modello economico neoliberista, ne mantiene, tuttavia, in vita il fondamentale paradigma della moneta a debito, emessa dalle banche centrali, e con essa prolunga la vita all’economia del debito la cui insostenibilità è stata catalizzata dalla doppia emergenza sanitaria ed economica in corso. Egli, quindi, lascia intendere che finita la “guerra” i debiti sarebbero cancellati. Draghi, così facendo, ci offre una via d’uscita impedendo allo stesso tempo la naturale reazione degli stati, che potrebbe consistere nel ritorno all’esercizio della loro sovranità monetaria tramite uso di moneta di stato, non a debito, legale entro i confini nazionali che li emanciperebbe dal sistema della moneta a debito affermando finalmente lo stato nascente di una economia non a debito. Viceversa, la via Draghi, rientrata l’emergenza, garantirà il ritorno al paradigma della moneta a debito.
Una terapia intensiva consistente in miliardi pronto cassa, da pompare nelle casse statali, per le imprese, il lavoro e la ripresa dei consumi al fine di rianimare il paese prima che l’apoptosi del sistema economico possa generalizzarsi, ma tale strategia implica l’abbattimento della governance europea trasformando finalmente la BCE in una vera banca centrale prestatrice d’ultima istanza, in grado di finanziare l’intervento pubblico necessario ad affrontare l’emergenza economica al fine di evitare la disintegrazione dell’euro e dell’Ue tenendo in piedi il fondamentale paradigma della moneta privata a debito e della partita doppia ad esso strettamente legata quale modalità di contabilità sottesa alla creazione monetaria (4).
Meglio un drago con ali d’angelo che un orco come quello proposto da Zanda (Pd) il quale candidamente dichiara che se dalla Ue non dovesse arrivare alcun aiuto non ci resterebbe che dare in pegno gli immobili pubblici. Anche Montecitorio e Palazzo Chigi.

Lo sforzo congiunto di mettere in campo misure straordinarie per affrontare la doppia emergenza su scala globale è leggibile nel comunicato conclusivo del G20 dove si spiega che i Paesi sono impegnati a “fare tutto quello che è necessario” per superare la pandemia” e per “minimizzare i danni economici e sociali, rilanciare la crescita e mantenere la stabilità dei mercati” precisando che saranno iniettati ben 5.000 miliardi di dollari nell’economia mondiale per superare l’impatto “sociale, economico e finanziario” del coronavirus.

Dall’altro lato dell’oceano, Trump brandisce la Fed per evitare, in vista delle elezioni presidenziali del prossimo autunno, la vanificazione dei successi della sua politica economica, soccorrendo a piene mani l’economia reale e quella finanziaria degli stati uniti, non dimenticando famiglie e lavoratori autonomi. Egli mostra di controllare la Fed che ha ridotto i tassi di 150 punti base, a quasi zero e annunciato mille miliardi di dollari al giorno in operazioni di pronti contro termine e operazioni di QE illimitato. Sta comprando più di 70 MILIARDI AL GIORNO di titoli di stato! La Fed agisce come banchiere e fornisce finanziamenti. Il governo federale sta praticamente nazionalizzando vaste aree dei mercati finanziari e la Fed sta fornendo i soldi per farlo! La Fed ha in pratica ceduto al Tesoro l’accesso alla sua “stampante”… In pratica una nuova alleanza tra Fed e Tesoro, come se in Italia si tornasse a prima del divorzio dell’81 che separò notoriamente il Tesoro dalla BdI.
Al Presidente della Fed, Jerome Powell, è stato pubblicamente chiesto: “Esiste un limite alla quantità di denaro che la Fed è disposta a mettere in questa economia per tenerla a galla? È un assegno in bianco? ” La risposta è stata un semplice no, non esiste.

https://www.francescocappello.com

(1) Premesso che l’Italia non ha mai subito un default del debito pubblico è importante partire dall’art. 47 della Costituzione per capire le origini virtuose del debito e del cambiamento pernicioso della sua natura, da 40 anni a questa parte. Al primo comma è scritto:
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.
come eravamo
Gli italiani hanno avuto in passato, quando era integro e attivo il modello economico inscritto nel titolo 3 della Costituzione economica, una grande vocazione e capacità di risparmio, riuscendo a mettere da parte un quarto, in media, del proprio reddito. L’economia assai vivace del tempo, vicina alla piena occupazione, era affetta, in parte, da una inflazione da costi dovuta all’aumento dei prezzi del petrolio che si verificò a metà anni ’70. L’inflazione, come si sa, erode il potere di acquisto del denaro; per di più il denaro risparmiato, nella sua funzione di riserva di valore, non circola nell’economia. Quando la politica decideva investimenti pubblici straordinari nell’interesse del Paese, qualora le entrate fiscali si fossero rivelate insufficienti allo scopo, chiedeva al Tesoro di emettere titoli di stato con i quali raccoglieva ed impiegava utilmente per la comunità le risorse finanziarie che quest’ultima era stata in grado di accantonare. In questo modo, nel mentre proteggeva il risparmio degli italiani, con un tasso di interesse adeguato a coprire l’inflazione, impiegava virtuosamente le risorse risparmiate mobilitandole nella costruzione di ospedali, strade, scuole, alloggi popolari, investendo in tutti quei settori rispondenti all’interesse pubblico, dai servizi pubblici, allo stato sociale ecc.. L’entità del “debito“ era perciò pari alla ricchezza attiva degli italiani, un indice della efficienza della politica, della sua capacità progettuale e di costruzione dell’interesse pubblico secondo le indicazioni della Costituzione. Il debito cambiò natura, forma e funzione a partire dagli anni 80, in almeno tre passi.
Nell’81, il divorzio tra banca d’Italia e Tesoro, togliendo al governo la possibilità di decidere il tasso di interesse con cui remunerare i titoli di stato sulla base dell’inflazione corrente, rinunciò alla capacità di manovra di questa essenziale leva della macroeconomia lasciando che fosse il mercato a “regolare“ il tasso di interesse. Alla nostra banca centrale fu impedito di emettere la moneta necessaria a comprare i titoli rimasti invenduti alle aste pubbliche cui partecipavano molte banche pubbliche italiane (oggi privatizzate). In conseguenza al divorzio, i tassi, lasciati al mercato, lievitarono e il rapporto debito/pil raddoppiò nello spazio di un decennio, cosa che indusse molti a dirottare i propri investimenti dall’economia reale a quella finanziaria poiché quest’ultima prometteva rendimenti più alti rispetto a quelli realizzabili in molti settori produttivi. Le cose si complicarono ulteriormente quando si permise, nel corso degli anni 80, a investitori esteri di comprare titoli del debito italiano. Sino ad allora il debito era stato interno (come indebitarsi in famiglia, una partita di giro), ma esternalizzandolo si aprì una falla emorragica in grado di estrarre in modo continuativo ricchezza dal Paese. A completare l’opera è stata la rinuncia alla moneta nazionale. Il debito è stato nominato in una moneta, per noi straniera, ossia l’euro del quale non abbiamo alcun controllo.
Oggi, per finanziare la spesa pubblica siamo costretti ad indebitarci rivolgendoci ai mercati finanziari che non possono che offrirci il loro veleno quotidiano fatto di moneta privata a debito.

(2) non a caso le banche centrali mondiali si dicono pronte a nuove misure, verso la revisione di Basilea 3: (ANSA) – ROMA, 27 MAR – Le banche centrali mondiali riunite nel gruppo dei governatori e responsabili della vigilanza (Ghos) si dicono pronte “a nuove misure, se necessario” sul fronte delle regole delle banche per garantire che il comparto resti finanziariamente e operativamente resistente di fronte all’emergenza coronavirus. E’ quanto si legge nel comunicato in cui si annuncia lo slittamento di un anno della revisione di Basilea 3 per dare più flessibilità alle banche, rilevando come il Comitato monitorerà la situazione con il Financial Stability Board.(ANSA).

(3) Si tratta in parte di prestiti agevolati concessi dalla Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW), nata nel 1948 per amministrare i fondi del Piano Marshall. È azionista di KfW Ipex-Bank; svolge attività bancaria senza superare il limite dei 30 miliardi di euro che gli permette di non deve sottostare ai requisiti di capitale e alle regole dell’Unione Bancaria e della vigilanza della BCE. La KfW non consolida il proprio passivo in quello del Tesoro, può, inoltre ricorrere ai prestiti della BCE come previsto dal comma 2 dell’articolo 123 del TFUE. Naturalmente noi ci chiediamo come mai Conte e Gualtieri non fanno lo stesso con la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) facilmente trasformabile da CDP da SPA a Ente Pubblico Economico (EPE)? Anche MPS e BdI e la ex cassa per il mezzogiorno il MCC tenuta in ibernazione potrebbero svolgere questo ruolo.

(4) Come spiega efficacemente Nino Galloni la creazione della moneta è “nascosta” dalla partita doppia. “La moneta che viene creata dalle banche centrali viene messa a passività mentre quella creata dagli stati ovvero i titoli che gli stati immettono per ottenere la moneta dalle banche centrali viene messa all’attivo. Attivo e passivo si eguagliano perché ormai il tasso di interesse oscilla intorno allo zero.”

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