di Giusy Calabrò
“Cavallo di Troia” docet: l’unico vaccino è la sovranità nazionale.
Mentre la guerra è vista come un lontano affare militare, il terrorismo sarebbe imprevedibile e destastabiizzante. In passato il bioterrorismo era prerogativa delle Forze Armate, ma l’odierno concetto di “guerra totale” che mina l’energia vitale di un Paese, registra l’inversione del rapporto tra vittime militari e civili. E’ chiaro come oggi, a causa dell’“atomica dei poveri”, l’uomo contagiato divenga una mina vagante in preda agli agenti biologici.
Le caratteristiche di un’arma biologica sono tre: elevata infettività, elevata virulenza (mortalità), forte contagiosità. I virus e i batteri più pericolosi sono quelli modificati con la tecnica del DNA ricombinante e con la cui infettività l’uomo non si è mai misurato.
Due sono gli aspetti essenziali della bio-war: 1) l’effetto psicologico causato è similare a quello sul “campo di battaglia”; 2) i recenti conflitti geopolitici asimmetrici hanno reso più incerto il confine fra guerra biologica e bioterrorismo.
Il Protocollo di Ginevra (1925) proibiva l’uso delle armi chimiche e biologiche, ma non estendeva il divieto alla ricerca, al possesso e allo stoccaggio. Anzi, molte nazioni lo ratificarono ribadendo la legittimità del diritto di ritorsione (retaliation), limitandone l’efficacia.
Integrata con la BWC (Biological Weapon Convention, 1972-75), primo trattato multilaterale sul disarmo, istituiva anche un organismo ispettivo: l’OPCW. Tuttavia, il Giappone che ratificò il Protocollo solo nel 1970 (seguito dagli USA nel 1975) fu il primo Paese a sviluppare un programma di studio sulle armi biologiche, nell’Unità 731.
Nel secondo dopoguerra ci fu la corsa alle armi biologiche; soprattutto URSS e USA attuarono la weaponization dei microrganismi. Gli Stati Uniti dismisero i propri stabilimenti industriali, per scarsa sicurezza, cedendoli all’industria farmaceutica ma non alienarono le strutture di Camp Detrick. Inoltre, erano in corso patteggiamenti segreti con gli scienziati giapponesi per acquisire informazioni sperimentali, in cambio dell’immunità. Nel corso del 1946, scienziati e i direttori dell’Unità 731, Ishii e Misaji, ottennero l’immunità dai crimini di guerra commessi contro l’umanità, al prezzo della loro collaborazione scientifica con gli USA. Durante tutto il dopoguerra furono condotti coi nipponici numerosi debriefings segreti.
Fra il 1950 ed il 1953, durante la guerra di Corea, gli USA riattivano i loro programmi di guerra batteriologica e, sebbene le accuse internazionali di aver usato bioweapons non siano mai state provate, oggi si è certi che avessero riattivato i loro stabilimenti in Arkansas, Pine Bluff Arsenal, stavolta con misure di bio-sicurezza, nonchè programmi (con vaccini, sieri e farmaci) per proteggere le truppe da un eventuale attacco.
Il ventennnio 1950-1970 fu quello di massimo sviluppo dell’U.S. Biological Weapons Program con studi sugli animali, in siti desertici e su chiatte nell’Oceano Pacifico. Nel 1955 iniziarono esperimenti sull’uomo, con volontari militari e civili; mentre altri studi furono condotti per determinare la vulnerabilità ai patogeni aerosolizzati, l’efficacia profilattica dei vaccini ecc.
Fra il 1949 e il 1969 intere città, come New York e San Francisco, furono usate come laboratori per esperimenti segreti di aerosolizzazione e dispersione. Alla fine degli anni Sessanta lo US Army Corps aveva sviluppato un arsenale biologico che includeva numerosi patogeni.
Nel 1950-1951 l’epidemia di San Francisco diffuse il sospetto che fosse stata causata da tali sperimentazioni, finchè l’opinione pubblica internazionale non diede una svolta alla politica americana: fra il 1967 ed il 1969 furono tagliati i fondi. In quegli anni anche Francia, Canada e Gran Bretagna condussero studi sulla bio-war e ciò non ha evitato neanche a loro i rischi derivanti dalla sperimentazione con germi “weaponizzati”, come la morte fulminante (3 agosto 1962) del dott. G. Bacon, biologo presso il Centro Microbiologico Militare di Porton Down.
La consapevolezza internazionale dell’inefficacia del Protocollo di Ginevra del 1925 spinse molte Nazioni a cercare un nuovo accordo.
Nel 1969 l’OMS pubblicò un rapporto sull’estrema pericolosità e mortalità delle armi biologiche, ma non fu l’opinione pubblica a decidere, quanto due fattori della cinica real-politik: 1) agli inizi degli anni Settanta, la disponibilità di armamenti e nucleari era sufficiente a garantire la possibilità di retaliation; 2) la disponibilità di ordigni nucleari manteneva la supremazia delle superpotenze, evitando che nazioni più povere potessero procurarsi armi biologiche. Nonostante la stipula della BWC i servizi segreti delle grandi potenze hanno condotto esperimenti di bio-war, soprattutto la CIA (ammonita al Congresso Federale del 1975 per la conservazione di tossine). Ben più grave l’eclatante esempio di “bioterrorismo di Stato”, quando esse furono usate dai servizi segreti del “Partito Arancione”: l’arma biologica (ordigno a molla nascosto nella punta di un ombrello che sparava una microsfera d’acciaio riempita di ricino-tossina), sviluppata dall’URSS, fu usata dai servizi bulgari per assassinare due dissidenti: G. Markov e Vl. Kostov. Tale dato è interessante poiché, oltre la tossina scelta, l’arma sarebbe ancora la preferita dei gruppi terroristici più poveri.
Anche l’URSS, dopo il 1972, intensificò i propri programmi di guerra biologica e che le recenti analisi hanno svelato che il clamoroso “incidente di Sverdlovsk” (epidemia di antrace, 1979) fosse dovuto a programmi di guerra batteriologica.
Oggi in Italia la Sanità militare, la professionalizzazione delle Forze Armate, la riduzione del personale tecnico e dei fondi, nonché i gravosi oneri connessi alle “missioni di pace”, determinano forti limiti nell’ambito della bio-war: Nonostante i nuovi indirizzi strategici nazionali, sembrino propagandare un “sensibile miglioramento nel settore della difesa biologica”, esso è perseguito come mera duplicazione del reparto operativo a ciò preposto. In ambito security gli strumenti della Sanità pubblica e militare sono chiaramente scarsi e arretrati, rispetto alle sperimentazioni estere.
Oggi il principale ostacolo è strutturale: la globalizzazione e il capitalismo sfrenati, avendo spostato beni e forza lavoro, hanno sottovalutato come nell’era della bio-war tali sistemi siano i più atti alla proliferazione epidemica. Ci siamo illusi di poter plasmare la natura per il nostro mero profitto e, adesso, abbiamo scoperto che proprio un virus sta usando l’organismo umano a livello globale. Un microrganismo sta dimostrando che il nostro atteggiamento non è più sostenibile e che la sovranità e i confini nazionali sono essenziali anche perché, proprio durante l’emergenza sanitaria del Codiv-19, il mendace concetto di Europa unita ha visto ciascun Paese trattenere egoisticamente le proprie risorse. In uno scenario così preoccupante e, soprattutto, dopo che il governo italiano ha fallito per imprudenza comunicativa e scarsa tempestività, l’unica soluzione potrà essere un cambiamento etico e intellettuale. Il recupero della nostra sovranità nazionale sarà essenziale per svincolarci da poteri esterni che non sono, né democratici, nè cooperativi per poter ritornare a essere Italiani, invece che sudditi degli USA o dell’Europa che ci tiene in pugno.
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Assolutamente condivisibile ciò che ho letto , occorre un cambio di paradigma che parta dalla monterà strumento di scambio e non di schiavitu, ma soprattutto una moneta a credito e non a debito di proprietà della collettività, con una ritrovata e sana collaborazione Europea ma con gestioni sovranamente autarchiche .