La scelta liberista, che si è affermata in opposizione alla Costituzione del 48, è, in ultima analisi, l’economia che consente ai ricchi di diventare ricchissimi e creare le condizioni per stabilizzare la loro condizione a discapito di tutti gli altri.
La licenza
fondamentale che i ricchi detentori di capitali hanno chiesto e ottenuto è stata
la libera circolazione della moneta, in tutte le sue forme vecchie e nuove,
su scala planetaria. A partire dagli anni ’80 la liberalizzazione del
commercio di capitali su scala globale, senza alcuna regolazione e controllo
(dall’85 in Europa su proposta di J. Delors), ha operato la principale falla
nella diga che impediva al mondo di divenire nuovamente preda del credo liberista
e della pratica
mercantilista di stampo coloniale che avevano provocato le grande crisi di inizio secolo e che
sfoceranno nei totalitarismi e nelle grandi guerre globali.
Ne sono derivate la abolizione dei confini geografici e la libertà di speculare su
scala planetaria al fine di trasformare il denaro in più denaro, trasferibile
in ogni momento nei paradisi fiscali.
Come corollario essi
desiderano che il cambio, nel trasferimento da un paese all’altro, sia il più alto possibile in modo che i loro capitali nei paesi di destinazione comprino di più che
nel luogo di provenienza.
Per ovviare a cambi bloccati, su valori troppo alti per la nostra economia, si è
ricorso a svalutazione interna e deflazione salariale (aumento del plusvalore
sottratto ai lavoratori) che se da una parte recuperano la competitività dei
nostri prodotti all’estero causano, dall’altra, depressione della domanda
interna e bassissima inflazione tendente a deflazione.
I ricchi detentori
di capitali preferiscono la deflazione all’inflazione. La prima aumenta
il potere d’acquisto del denaro e quindi la ricchezza di chi lo detiene,
viceversa l’inflazione va a vantaggio dei debitori e a svantaggio dei creditori
e di chi vive di rendita. Essa erode i redditi fissi e non quelli variabili
(scala mobile). Pur di ottenere bassa inflazione e persino deflazione, l’ordoliberismo
boccia le politiche economiche espansive, promuove politiche di austerità,
deprime
la spesa e gli investimenti pubblici, mirando alla depressione della domanda con lo scopo di evitare l’attivazione
di processi inflattivi.
I detentori di capitali hanno preteso alti tassi di interesse a
remunerazione dei capitali che investono. Oggi sono messi in difficoltà dalla
politica dei tassi
sottozero cui sono costrette le banche centrali per tenere in piedi il castello
di carta della finanza speculativa.
Essi mirano all’uso esclusivo di moneta a debito da loro stessi creata e messa
in circolazione sotto forma di prestiti. Gli Stati si ridurranno a fare uso
di quell’unica forma di moneta di cui loro hanno il monopolio (moneta di banca
privata e di banca centrale) a discapito delle banche pubbliche (quasi tutti
privatizzate nel corso degli anni novanta) e della finanza pubblica, sovvertita
a partire dagli anni ottanta.
Il sistema della creazione di moneta scritturale bancaria a debito prevede il
pagamento degli interessi. Naturalmente la quantità di denaro in circolazione dovrebbe continuamente aumentare non solo in
proporzione alla quantità di merci e servizi aggiuntivi che siamo in grado di produrre ma anche
perché c’è molto debito. Il
denaro creato dalle banche, infatti, entra in circolazione sotto forma di
prestiti e va restituito con gli interessi. Di conseguenza, il prezzo di ogni
merce o servizio incorpora una parte di interessi che il produttore deve pagare
alla banca come costo del capitale (il 40% in media nella composizione del
prezzo (Creutz, 1993)). Inoltre, dal fatto che la banca, nel suo processo di creazione monetaria, non crea gli interessi con
cui dovrà essere restituito il
debito, deriva la necessità intrinseca (al sistema di creazione della moneta) dei soggetti
economici di competere tra loro per poter ripagare il debito contratto, pena il
fallimento obbligato di quelli che non ce la fanno. Per poter pagare gli
interessi sarebbe necessario ottenere alte rendite dei capitali investiti nell’economia
reale ma quest’ultima è sempre più marginalizzata dalla finanza
speculativa. Oggi infatti le imprese, data la crisi, si astengono dall’investire.
A quelle poche che chiedono prestiti, essi vengono negati perché marchiate da
basso rating in ottemperanza ai criteri stabiliti dagli Accordi di
Basilea i quali incoraggiano le banche a puntare solo sull’economia finanziaria
speculativa bypassando l’economia reale. Ripagare il debito pubblico e privato
comporta, sul primo dei due diversi versanti, svendita di patrimonio pubblico e
smantellamento dello stato sociale (a causa dell’adozione permanente di
politiche di austerity e di avanzo primario), deindustrializzazione e
delocalizzazione sull’altro, processi, questi ultimi, che dopo aver estinto la
grande e media impresa si abbattono ora sulla piccola e sulla microimpresa (il
99% delle imprese italiane). Le uniche grandi imprese su cui investono i
capitalisti odierni coincidono sempre più con le grandi multinazionali, controllate
da grandi fondi di investimento insieme a grandi banche d’affari ed agenzie di
rating in stretta sinergia, contro gli interessi del resto del mondo.
Tra le conseguenze
nefaste di questo sistema di cose l’abbandono della produzione di beni pubblici
quali la cura del territorio, delle persone e dei beni comuni.
I ricchissimi naturalmente non sono interessati a che la spesa pubblica
sia adeguata alle necessità civili della grande maggioranza della popolazione
anche perché refrattari a qualsiasi forma di tassazione di reddito e/o
patrimonio necessaria a sostenerla. I servizi pubblici propongono piuttosto di
trasformarli in servizi a pagamento gestiti da privati.
Va da sé che gli interessi della grande maggioranza della popolazione siano opposti a quelli dei capitalisti della finanza speculativa. L’abolizione della leva valutaria con l’introduzione dei cambi fissi, la liberalizzazione della circolazione di merci e capitali insieme alla sospensione della sovranità monetaria (diritto di uno Stato sovrano a emettere moneta non a debito, a controllo pubblico, come le statonote e/o i certificati di credito fiscale, senza doversi indebitare per finanziarsi sui mercati finanziari) sono scelte in grado di mettere “KO“ anche uno stato forte come era l’Italia che pure ha mostrato negli anni grande resilienza. A chi ha fatto/fa comodo lo smantellamento economico, politico, civile del nostro paese?
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