Al
tradizionale conflitto tra lavoratori e proprietari dell’azienda si è aggiunto
oggi quello più generale tra debitori e creditori. Alla categoria dei debitori
appartengono non solo famiglie e imprese ma interi popoli e le loro organizzazioni
statali.
Sullo sfondo il conflitto tra micro e macro: microimprese e multinazionali,
piccole banche e grandi banche d’affari, stati nazionali e poteri
sovranazionali.
L’architettura del sistema finanziario e il sistema dei pagamenti
internazionale generano enormi bolle di debiti e crediti, pubblici e privati,
che non si incontrano e che la finanza gestisce in forma di cartolarizzazioni,
derivati (1) e altro. I debiti accumulati dalla finanza speculativa ammontano
secondo stime, utilizzanti dati della BRI, a una somma pari a 54 volte il Pil
mondiale! Si tratta di denaro fittizio, ricchezza fittizia, tradotta in titoli,
inventati dal sistema finanziario, il cui valore non è determinabile con
certezza e che risultano continuativamente soggetti ad improvvisi quanto
imprevedibili rischi di svalutazione. Tuttavia, la casta
aristocratico-finanziaria (che si avvale dello strumento dei grandi fondi di
investimento che controllano le grandi banche d’affari, le multinazionali, le
agenzie di rating, le grandi agenzie informative, la stessa politica) che
detiene e gestisce questa ricchezza di carta usa allo scopo le più diverse
manovre speculative. La pretesa di fondo consiste nel pensare di far soldi con
i soldi, nei vari passaggi di mano da un investitore all’altro, saltando a piè pari
l’economia reale, tenuta ai margini, se non del tutto disgiunta, da quella
finanziaria. Piuttosto che concedere prestiti a famiglie e aziende si trova più
redditizio commercializzare titoli. La ricchezza fittizia accumulata dalla
finanza ha tuttavia un potere d’acquisto che esercita nei confronti della
ricchezza reale. Dai rischi della finanziarizzazione non sono purtroppo immuni
tantissime imprese di produzione e servizi che si sono lasciate convincere, o
si sono viste costrette, a detenere grosse fette dei loro capitali sotto forma
di titoli finanziari, la cui instabilità genera, peraltro, notevoli
oscillazioni dei prezzi delle materie prime alla base delle loro attività trasformative.
Il mercato del denaro fittizio minaccia la pace
Il
verbo pagare contiene la radice pace, ebbene, oggi non è possibile alcuna quietanza
perché è sempre più difficile la pacificazione risultante dal pagamento dei
debiti. Debiti inestinguibili, destinati a non essere pagati, vengono usati
quale strumento di dominio della aristocrazia finanziaria sui popoli e le loro
organizzazioni.
Indebitarsi, nel contesto attuale dominato dalla moneta privata a debito,
equivale a mettersi in posizione di svantaggio permanente rispetto ai
creditori. Chi è in grado di concedere prestiti esercita un potere sul
debitore. Se i crediti non rientrano anche per chi presta il sistema si rivela
alla lunga insostenibile. Tra debitori e creditori si instaura una tensione
conflittuale che impedisce la collaborazione tra i popoli rischiando piuttosto
di degenerare persino in guerra tra paesi.
A
stabilizzare il sistema finanziario, rispetto alle crisi sempre incipienti, il
ruolo, inedito sino al 2007, delle grandi banche centrali che accettando di
ritirare dal mercato tutte le criticità che esso continuamente genera (titoli
tossici di varia natura) e sostituendole con denaro fresco, creato dal nulla
(operazioni di alleggerimento quantitativo – quantitative easing Qe), ne rende
possibile la continuità, impedendo il collasso del castello finanziario
ovviando così alle sue più vistose patologie.
Il Qe agisce però sui sintomi. Esso non è in grado di curare la malattia della
finanza speculativa che è strutturale essendo inscritta nel sistema dei
pagamenti come deciso a Bretton Woods (BW) dove è prevalsa la preferenza
statunitense per la liquidità che ha imposto il dollaro, una moneta nazionale,
quale valuta di riserva internazionale da utilizzare per gli scambi
internazionali delle materie prime. Dal ’71, oltretutto, il dollaro,
liberandosi dal precedente vincolo della convertibilità in oro, diviene fiat.
«La
preferenza statunitense per la liquidità riflette non tanto la preoccupazione,
più o meno reprensibile o più o meno giustificabile, dell’amministrazione
americana per le rendite delle lobby finanziarie dominanti, quanto, più
profondamente un assenso preventivo incondizionato alla potenza. Un assenso
che, espresso in questi termini, non è né colpevole né innocente, ma sta
letteralmente al di qua del bene e del male. L’assenso alla potenza che regge
le decisioni di Bretton Woods è tale da riflettere la necessità, inaggirabile
per ogni politica di potenza, di non separare il finanziamento del commercio
dal finanziamento della guerra posto che, mentre nei giorni di Bretton Woods
inizia a finire una guerra calda, all’orizzonte si sta profilando una nuova
guerra fredda sì, ma finanziariamente impegnativa contro l’altro candidato a
sostenere l’imperativo della potenza, ossia la «superpotenza» sovietica. Una
guerra che, forse ancora più di quella che sta finendo, implica l’esigenza di
una liquidità incondizionatamente disponibile, e creabile a volontà. E
tuttavia, questa incondizionata opzione a favore di una liquidità
potenzialmente illimitata non appare per ciò che è, ma, anzi, come un modo del
tutto ragionevole di organizzare i rapporti economici e politici all’interno
dell’Occidente, in vista della libertà e della crescita.»
Da Il fine della finanza di M. Amato e L. Fantacci
Gli Usa, in virtù del fatto che sino al ‘49 erano stati gli unici possessori
della minaccia atomica, ottenuta soprattutto grazie all’apporto della scuola di
fisica italiana (allora la più avanzata al mondo), imposero il dollaro come
mezzo di pagamento internazionale (1944 -Bretton Woods). In tal modo hanno
avuto a disposizione una fonte di liquidità praticamente illimitata al servizio
della loro egemonia imperiale. Stampando dollari alla bisogna (cosa che avrebbe
immancabilmente svalutato la moneta di qualsiasi altro paese che avesse
adottato lo stesso fare) hanno potuto costruirsi l’esercito più potente al
mondo. Hanno recitato il ruolo egemonico di finanziatori di aiuti
internazionali e investimenti esteri ecc. (si sono potuti permettere di “dare” apparendo
generosi senza che a loro potesse mancare nulla) nel tentativo di mascherare l’oscena
violenza di 75 anni della loro “pace” in cui secondo le diverse stime degli
storici hanno causato da 20 a 30 milioni di vittime da moltiplicare per 10 se
nel conto si volessero includere i feriti.
Oggi tale “equilibrio” di dominio unipolare non è più accettato dalle grandi e piccole potenze emergenti che aspirerebbero a un diverso ordine e organizzazione del sistema monetario mondiale. Da qui origina il rischio di guerra nucleare che minaccia nuovamente il mondo.
Le operazioni di massiccia immissione di liquidità nel sistema, atte a fluidificare le tensioni finanziarie generate dalla massa di debiti e crediti che non si incontrano più, sono state sinora possibili perché l’enorme inflazione che hanno suscitato è rimasta confinata nel sistema finanziario (2). L’economia reale, tenuta artificiosamente fuori da tali processi di espansione monetaria, non ha sinora subito processi inflattivi. Ciò ha reso possibile la crescita della bolla finanziaria (2) a livelli mai visti anche rispetto alla grandi crisi del passato e della recente crisi del 2007 (vedi grafico: storico del Dow Jones).
[Si noti il picco pre-crisi del 2007 e la successiva ripresa dopo l’intervento delle banche centrali. Il picco odierno dei corsi azionari (bolla finanziaria) è assai più pronunciato, e in crescita esponenziale, rispetto a quello del 2007/2008]
Il 2019 è stato un anno straordinario per i mercati finanziari. Un anno record. Tutte le principali classi di investimento hanno visto un rialzo complessivo di 23 mila miliardi su Borse e bond. Il valore delle Borse globali è cresciuto di 17 mila miliardi di dollari (da 67mila a 84mila miliardi di dollari), quello delle obbligazioni è lievitato di 6mila miliardi!
Si tratta però di un castello di carta della cui pericolosa fragilità il mondo potrebbe divenire tragicamente consapevole in occasione di un conflitto aperto come quello allo stato nascente tra Usa e Iran (3). Il blocco dello stretto di Hormuz che vede il transito di più di un quinto del greggio movimentato a livello globale, potrebbe, infatti, portare ad un repentino aumento del prezzo del petrolio e ad una conseguente ed inevitabile impennata inflazionistica. Una inflazione da costi nella economia reale renderebbe impraticabili ulteriori operazioni di immissione monetaria da parte delle banche centrali. La enorme bolla finanziaria non più sostenuta rischierebbe di imploderebbe rovinosamente. Stavolta, infatti, l’intervento delle grandi banche centrali, in presenza di tassi di interesse già vicini allo zero e spesso sotto zero si rivelerebbe un’arma spuntata. La crisi si diffonderebbe tragicamente ovunque con la dinamica di uno tsunami finanziario risparmiando pochissimi paesi. Il possibile crollo dell’economia reale insieme a grandi masse monetarie in circolazione causerebbe una incontenibile inflazione da domanda.
Nel
funzionamento del mercato globale, è proprio il mercato del denaro il grande
imputato da mettere finalmente sotto accusa e porre sotto controllo. A partire
dagli anni ’80 la liberalizzazione del commercio di capitali su scala globale
senza alcuna regolazione e controllo (dall’85 in Europa su proposta di J.
Delors) ha operato la principale falla nella diga che impediva al mondo di
divenire nuovamente preda del credo liberista e della pratica mercantilista di
stampo coloniale.
Aver puntato tutto sulle esportazioni rende oggi l’economia fragile, a causa,
ad esempio, della rapidissima diffusione dei dazi che hanno fatto crollare le
esportazioni.
La Ue, complessivamente, è in surplus rispetto al resto del mondo. È il
mercantilismo a connotare la politica economica dei paesi dell’eurozona.
Il suo strumento principale essendo l’ordoliberismo.
Sul versante dell’economia reale i paesi economicamente più forti fanno a gara pur di risultare in surplus rispetto al mondo sforzandosi di esportare più di quanto non importino. Si tratta di politiche mercantiliste possibili solo grazie a svalutazioni interne, che mantenendo bassi salari e stipendi, distruggendo lo stato sociale, limitando il più possibile gli investimenti pubblici, riescono a massimizzare le esportazioni e vincere la competizione, producendo merci capaci di imporsi sui mercati esteri. La globalizzazione, che sposta le aziende là dove il lavoro si compra a buon mercato e le normative ambientali sono inesistenti o assai permissive e l’imposizione fiscale è bassissima o nulla, fa il resto premiando i produttori peggiori.
Si
pensi, inoltre, agli accumuli patologici di attivi e passivi delle bilance
commerciali europee: i saldi che i paesi in surplus hanno accumulato, registrati
dal sistema dei pagamenti europeo, Target 2, ammontano a circa mille miliardi
di euro, di cui 800 tedeschi! I surplus hanno permesso ai paesi detentori di
finanziare i deficit dei paesi della periferia dell’eurozona mascherando così una
bilancia commerciale completamente squilibrata a favore dei paesi in attivo e a
sfavore dei paesi della periferia.
I conseguenti spostamenti criminali di capitali, dai paesi in surplus a quelli
in deficit, hanno permesso ai primi di finanziare le importazioni di paesi come
la Grecia a cui si chiese, improvvisamente (in seguito alla crisi del 2007/8),
di risarcire il debito contratto, mentre le si negava ogni ulteriore
finanziamento del disavanzo.
Gli ulteriori finanziamenti la Grecia li ha ricevuti solo consentendo alla svendita
del proprio patrimonio pubblico, asset e fattori stessi della produzione ecc..
, riducendo a zero lo stato sociale. In passato, i grandi surplus commerciali
realizzati dai paesi più forti dell’eurozona, in un sistema di monete nazionali
regolate da cambi flessibili, sarebbero stati impossibili da realizzare. Oggi
va finalmente riconosciuto il rischio, insito negli spostamenti dei capitali
accumulati nei grandi surplus europei, verso i paesi poveri dell’eurozona, nel
tentativo interessato di coprire debito con nuovo debito, senza per questo
renderlo pagabile e agire introducendo
i correttivi necessari.
La scelta mercantilista, equivale alla messa in atto di continue ed aggressive svalutazioni competitive (ricordiamo che, per ovvi motivi, una svalutazione è competitiva se effettuata da un paese in surplus e non da uno in deficit!) ai danni del resto del mondo.
La scelta di privilegiare ad ogni costo le esportazioni è ingorda, miope e guerrafondaia; essa rivela in modo sempre più evidente tutta la sua fragile pericolosità. Se i paesi che normalmente assorbono le esportazioni sono colpiti da crisi economica questa si ripercuoterà immediatamente sul paese esportatore.
L’ economia di pace come era stata proposta da J. M. Keynes
Nella proposta di Keynes la International Clearing Union (ICU) sarebbe stata una banca funzionante quale camera di compensazione tra posizioni debitorie (importazioni) e posizioni creditorie (esportazioni). Una banca internazionale col compito di registrare debiti e crediti generati dai rapporti di scambio (import-export) tra paesi.
Una camera di compensazione, in estrema sintesi, permette ai paesi che la adottano di scambiarsi merci e servizi pagando gli import dai paesi aderenti con i propri export. Si tratta di scambi (baratto) multilaterali in compensazione. Il debito nei confronti del paese da cui ho acquistato posso risarcirlo vendendo (esportando) verso qualsiasi altro paese aderente al circuito. Il bancor sarebbe stata la moneta internazionale usata, ridotta a semplice unità di conto ovvero unità di misura del valore delle merci e dei servizi scambiati. Ciascun paese per partecipare agli scambi internazionali avrebbe dovuto preliminarmente “comprare“ bancor secondo il tasso di cambio opportunamente deciso dalla ICU. La moneta comune, ridotta alla sua essenza di unità di misura universalmente riconosciuto del valore delle merci e dei servizi scambiati tra paesi, è creata all’occorrenza e praticamente sparisce dopo aver svolto il suo compito di facilitatore delle transazioni. Una moneta perciò non usabile per accumulare ricchezza in quanto opportunamente privata della funzione di riserva di valore.
La possibilità di regolazione del cambio tra monete nazionali e bancor, funzionante quest’ultima quale moneta comune, avrebbe permesso di poter aggiustare il cambio con le singole monete nazionali secondo necessità: rivalutando la moneta del paese che eccedesse in surplus e svalutando quella del paese in eccessivo deficit in modo tale da facilitare le importazioni dei primi e scoraggiarne nel contempo le ulteriori esportazioni e viceversa con i secondi, ai fini del raggiungimento dell’equilibrio (di pace e sviluppo reciproco) tra export ed import.
Un
tale sistema dei pagamenti internazionale rende non necessari i movimenti di capitale.
Fa a meno dei mercati finanziari! I movimenti di capitale di portafoglio (non
gli investimenti diretti) sono disincentivati; il fatto che il surplus della
bilancia pagamenti tedesca consenta alla Germania di acquistare obbligazioni di
banche italiane è dovuto al fatto che la Grecia, la Spagna o il Portogallo
hanno bisogno di prestiti perché in deficit… Nella misura in cui si riducesse
strutturalmente la possibilità di generare surplus e deficit diminuirebbe
proporzionalmente la necessità di questi finanziamenti mediati dal mercato
finanziario. La condizione ideale essendo quella per cui non ho bisogno di
chiederti soldi in prestito e tu, comunque, non avresti soldi da prestarmi. Si
ridurrebbe così, strutturalmente, la necessità della esistenza di un mercato
del denaro!
Se tutti siamo a zero non ho bisogno di avere soldi in prestito e tu non li hai
per finanziarmi ma ci siamo egualmente finanziati a vicenda facendoci
reciprocamente credito all’interno di quel circuito di credito commerciale,
reso possibile dalla Clearing Union, in cui la fiducia sarebbe organizzata in
modo strutturale, in modo da incoraggiare
e “obbligare“ a rapporti collaborativi tra paesi verificandone ad ogni
passo i vantaggi reciproci, ossia, di sistema.
Se tutti siamo a zero io non ho bisogno di avere soldi in prestito e tu non li hai per finanziarmi ma ci siamo egualmente finanziati a vicenda facendoci reciprocamente credito (credendo l’uno all’altro). Se tutti convergono verso l’equilibrio (situazione di sostanziale parità tra importazioni ed esportazioni ) non ci sono deficit da finanziare e non ci sono surplus in grado di finanziarli perché i soldi li ho spesi comprando e ho comprato perché ho venduto. La moneta, come unità di conto (scritturale), una volta svolto il suo ruolo di mediazione degli scambi sparisce (non può essere accumulata). Ecco perché non è più utilizzabile quale riserva di valore.
La fiducia tra paesi sarebbe organizzata in modo strutturale in modo da facilitare ed incoraggiare la crescita di rapporti virtuosi tra gli attori economoci. In definitiva un sistema di pagamenti internazionale in grado di ridurre drasticamente la necessità di un mercato dei capitali e che ottimizza quello delle merci e dei servizi scambiati, in una logica di vantaggi comparati.
La International Clearing Union, proposta da Keynes a BW impedirebbe strutturalmente il formarsi di avanzi e disavanzi delle bilance commerciali (se ho un surplus ti condanno al deficit, se ho un deficit ti condanno al surplus) e scoraggerebbe quelli esistenti, applicando ai primi tassi negativi, in modo da indurre i loro detentori a mobilitarli, spendendoli, ossia facendoli circolare in forma di investimenti sociali e per l’ambiente. Non si tratta di «aiutare» i paesi in deficit a «sostenere» i loro debiti con trasferimenti dai ricchi ai poveri ma di mettere in opera una organizzazione in cui ciascun aderente sia strutturalmente “costretto“ alla collaborazione attiva con vantaggio reciproco di tutti. I paesi in surplus sarebbero indotti a spendere acquistando di più all’estero (in tal modo consentendo ai paesi in deficit di rientrare dai loro passivi) ma anche e contemporaneamente al proprio interno, alzando salari e stipendi, tornando a fare investimenti pubblici non più rinviabili, tornando, in altre parole, ad incentivare finalmente la domanda interna, ponendo termine alla tragica stagione imposta al mondo intero da liberismo e mercantilismo.
Il pericolosissimo mercato dei capitali derivante, in ultima analisi, dagli eccessi di surplus e di deficit insostenibili, sarebbe così del tutto ridimensionato.
In ambito europeo, dal ’50 al ’58, è stato attivo un modello di scambi strutturato secondo quanto proposto da Keynes a BW nel ’44, che ha visto attiva una camera di compensazione, la Unione Europea dei Pagamenti – UEP, diretta da Guido Carli. Essa ha decisamente aiutato l’Europa a sollevarsi dalle macerie della guerra. Alcuni autori (Massimo Amato ed altri) propongono oggi una virtuosa trasformazione del sistema dei pagamenti Target 2, mirante ad una riedizione, nei limiti del possibile, di una istituzione analoga alla UEP.
È
necessario e quanto mai urgente riproporre con rinnovata forza e consapevolezza
il progetto keynesiano per uscire dal vicolo cieco evolutivo in cui l’umanità si
sta ficcando. Una moneta comune, il Bancor, in virtuosa interazione con le
monete nazionali, permetterebbero insieme di regolare, in maniera ottimale, il
commercio mondiale abbandonando la finanza speculativa fondata sulla liquidità,
foriera di guerra.
Bisogna far presto e bene perché si muore diceva un caro amico a cui devo
molto.
Le più grandi economie del mondo ossia quelle di SU, Cina e Ue sono in piena
guerra commerciale tra loro in un momento in cui anche la supremazia del
dollaro e il relativo ordine mondiale da esso sotteso risultano pericolosamente
in discussione.
L’Europa ha aumentato la sua dipendenza dalla congiuntura internazionale, ha,
inoltre, influito negativamente sulla ripresa mondiale e sta soffiando sulle
tensioni geopolitiche. La crisi che attraversa, non a caso è una crisi di
fiducia reciproca tra i suoi membri. Non solo non ci si fida più l’uno dell’altro
ma spesso ci si offende e insulta reciprocamente e sistematicamente, fino ad
evocare nuovamente quei demoni nazionalistici che si volevano fugare. È necessario
un recupero del margine di azione nazionale da distinguere decisamente dal
discorso nazionalistico.
Le
condizioni per cui il conflitto da economico-commerciale possa degenerare in
militare ci sono tutte.
La spartizione del mondo in aree da controllare per l’accesso alle risorse
naturali e per motivi di strategia geopolitica;
l’insostenibilità della finanza speculativa, la sua crescita a dismisura;
la tensione ad arricchirsi alle spalle degli altri, accumulando surplus a spese
dei deficit altrui, come è nella logica della scelta mercantilista.
In tutti questi aspetti della economia dominante si individua oggi il tratto
profondamente criminogeno e guerrafondaio che la caratterizza che conduce inesorabilmente
dalle guerre commerciali alle guerre combattute con gli eserciti.
Tutto sembra, purtroppo, muoversi in questa tragica direzione:
i cinesi hanno preso ad armarsi a ritmo crescente (già oggi spendono un quarto
del budget militare americano);
la aggressiva estensione della Nato verso Est;
la rottura del trattato INF;
la adozione di dottrine militari quali il First Strike Atomico a sostituzione
del più rassicurante (si fa per dire…) equilibrio del terrore dei tempi della
prima guerra fredda;
la declassificazione di armi nucleari depotenziate (mini nukes), da strategiche
a tattiche, ossia usabili nei teatri di guerra convenzionale (vedi il documento
Nuclear Operations).
La preparazione alla guerra procede spedita, come riportato nel documento Providing
for the Common Defence, da cui si evince come per gli statunitensi, pur
consapevoli che stavolta non sarà una passeggiata e che il popolo americano
dovrà essere pronto a subire enormi perdite di beni e vite umane, finanche sul
proprio territorio nazionale, la guerra sia da considerarsi necessaria non
trattandosi ormai di decidere se, ma solo quando…
È quanto mai urgente una nuova conferenza internazionale, una nuova Bretton
Woods prima che sia troppo tardi.
Non è a caso che i nostri costituenti, con alle spalle le grandi crisi
economiche provocate da quegli stessi sistemi economici
liberisti/mercantilisti, che oggi hanno ripreso il sopravvento, e che allora
portarono ai totalitarismi e alle grandi guerre globali ne fossero pienamente
consapevoli; e la nostra Costituzione dichiararono di scriverla in modo tale
che non accadesse mai più.
Dai verbali della Costituente:
«Se
si lascia libero sfogo alla legge della libera concorrenza e alla libera
iniziativa animata solo dal fine del profitto personale, si arriva pur sempre
al super capitalismo e così a quelle conseguenze fra le quali primeggia la
guerra tremenda che fu la rovina di tanti popoli» Gustavo Ghidini, 1947
«è effettivamente insostenibile la concezione liberale in materia economica, in
quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell’ordinamento più completo
dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere il maggiore
benessere possibile. Quando si dice controllo della economia, non si
intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche,
ma ci si riferisce allo Stato nella complessità dei suoi poteri e quindi in
gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma le
coordina, le disciplina e le orienta» Aldo Moro, 1947
(1) Cartolarizzazioni dei diritti di credito (debiti) precedentemente vietate
dal codice civile. Si fanno, cioè, valere come titoli commerciabili in borsa i
debiti (diritti di credito) abilitati in Italia dalla legge 130 del 1999 quale
mezzo di pagamento ossia come denaro abilitato a pareggiare i conti nelle
normali transazioni finanziarie. In pratica la trasformazione in carta di
attività reali. Allo stesso modo la legge 481 del 2001 ha sdoganato i
derivati che, nati come forme di assicurazioni sui raccolti agricoli, sono
divenuti vere e proprie scommesse intorno all’andamento dei prezzi di beni,
indipendentemente dal possedimento degli stessi; in pratica scommesse sul
valore di altri strumenti finanziari; anche i derivati sono stati equiparati
dalla legge a “moneta“ abilitata al pareggio dei conti degli enti pubblici così
come quelli delle banche. legge 448 del 2001
(2) Una bolla finanziaria è un aumento artificioso del valore, slegato dai fondamentali, di titoli quali, azioni, obbligazioni o derivati soggetti a valutazioni eccessive causate da facile ottimismo e compiacimento tra investitori che effettuano operazioni di compravendita sui mercati finanziari. La massa di stimoli monetari perpetrati dalle principali banche centrali è stata utilizzata per acquistare ulteriore titoli, facendone alzare i corsi regalando agli investitori un mercato azionario continuativamente, un “fantastico“ rialzo decennale.
(3) le bolle tendono a scoppiare poco prima di una recessione
– scoppio della bolla della new economy (primavera del 2000)
– la bolla dei mutui subprime e dei titoli derivati (2007)
I mercati azionari di solito anticipano le recessioni da 6 a 9 mesi prima che si verifichino. https://www.francescocappello.com
Commenta per primo