di Franco Ferrè
“Oggi Cassa Centrale Banca [NdA:capogruppo di uno dei due Gruppi bancari Cooperativi Italiani] è entrata in una dimensione nuova – quella della grande finanza italiana – dove le trattative si fanno su pochi tavoli e soprattutto in silenzio”
Probabilmente, per capire la portata del cambiamento in atto nel mondo delle BCC, non c’è altro da aggiungere a quanto dichiarato apertis verbis da Giorgio Fracalossi nell’ultimo incontro con le 80 BCC aderenti al suo Gruppo, incontro richiesto a gran voce dalle BCC stesse, dopo avere appreso – per lo più dai giornali – che la loro capogruppo si stava imbarcando in un’operazione da 500 milioni di euro circa per acquisire una banca privata, Carige.
E che banca privata; l’esatto opposto del mondo cooperativo: quotata in Borsa, con vicende recenti piene di ombre e con un nucleo di controllo in mano a… una sola famiglia, che la cooperazione la intendeva solo tra consanguinei (il gruppo Carige era noto, fra l’altro, per il fittissimo intreccio di cariche infragruppo tra mogli, madri, mariti e cognati). Altro che cooperazione: qui si stanno facendo ricchi (o meglio, più ricchi) degli individui singoli, e neppure tanto bisognosi, con i soldi derivanti dal lavoro dei milioni di soci delle BCC.
Al di là del fatto che un’operazione del genere possa rivelarsi più o meno redditizia (cosa di cui molti dubitano, ma che potrebbe anche succedere, dati gli aiuti che stanno piovendo da ogni parte, pur di chiudere), è proprio il “come” sta avvenendo il processo che rende benissimo l’idea di cosa sia effettivamente cambiato nel mondo cooperativo.
Breve riassunto. Il vertice di una capogruppo, espressione di non ben indentificati equilibri tra le varie componenti (che escludono buona parte delle BCC aderenti), decide in una stanzetta buia che, prima ancora di sapere quanti soldi serviranno per ridisegnare il proprio IT e far fronte alle presumibili (e probabilissime) nuove richieste di capitale derivanti dal prossimo e più volte rinviato AQR (Asset Quality Review), è necessario che il Gruppo stesso acquisisca un’altra banca che naviga da tempo in pessime acque, ma che conserva una ragguardevole dimensione. Nessuno, al di fuori di quella ristrettissima cerchia, sa nulla e la gran parte delle BCC del Gruppo (che, per inciso, hanno fornito a CCB il capitale) viene a sapere dell’operazione“a babbo morto” ovvero con i dettagli già ampiamente definiti. Ed ecco che le BCC si trovano nella scomoda veste di “soci finanziatori” di un’operazione che non hanno chiesto, di cui sanno poco o nulla, e sulla quale perfino i profili di legittimità non sono affatto certi. Benvenuti nel “Brave new world” del Credito Cooperativo.
Eppure si vedeva che sarebbe finita così, eccome se si vedeva. I poteri di una Capogruppo, come definiti dalla legislazione bancaria, prevedono il più ampio potere decisionale da parte del vertice, e non contemplano alcun tipo di necessario passaggio in più o meno democratiche assemblee di banche, che si definiscono “aderenti” solo pro forma (l’adesione era obbligatoria, pena la perdita della licenza bancaria…). Il mondo non cooperativo funziona così. E tutto fa pensare che a Trento non considerino questo modus operandi un’eccezione, viste le parole di Fracalossi.
In questi mesi, del resto, già sono avvenuti importanti episodi che hanno confermato le grandi potenzialità di ingerenza delle capogruppo nelle singole BCC, primo fra tutti, nell’altra capogruppo Iccrea, il niet a sei degli undici componenti del nuovo CdA di BCC Centropadana, espresso dai vertici di Lucrezia Romana capovolgendo l’esito dell’assemblea dei soci di Lodi.
E non parliamo delle possibili implicazioni in tema di governance e di agevolazioni. In un gruppo il cui capitale è in mano a enti cooperativi senza scopo di lucro, dove però una quota rilevante dei volumi viene da un ente privato con finalità di profitto,chi comanderà? Il profitto o la cooperazione? Ed è giusto concedere le agevolazioni previste per gli enti cooperativi a qualcuno con una così alta percentuale di ricavi provenienti da enti a scopo di lucro? Come valutare quali siano le “finalità prevalenti” di un tale ibrido istituzionale?
Una parola chiarificatrice su questi aspetti avrebbe dovuto venire dal MISE, Ministero dello Sviluppo Economico: il Governo gialloverde aveva stabilito nel Decreto Milleproroghe (fine 2018) che la Vigilanza doveva anche accertarsi che le nuove Capogruppo rispettassero le finalità mutualistiche tipiche del Credito Cooperativo. Il MISE (di concerto col MEF e sentita Banca d’Italia) avrebbe dovuto emanare entro marzo 2019 le disposizioni attuative per rendere operativa la misura. Ad oggi, ancora nulla è stato emanato, e la motivazione è semplice, osservando chi c’era al MISE (Di Maio) e chi stava al MEF (Tria), e non parliamo di Banca d’Italia, la cui sottomissioneai diktat BCE non è mai stata in discussione.
Il Decreto è rimasto lettera morta e noi siamo quia commentare il primo, fulgido (si fa per dire) esempio, di “storno” di risorse cooperative per favorire interessi privati, con le BCC ridotte al ruolo di spettatrici paganti. Tutto fa pensare che non sarà l’ultimo, purtroppo, specialmente adesso che la componente “verde-Lega” è stata messa in un angolo e torna a comandare la truppa di coloro che più di tutti hanno voluto questa nefasta riforma. Ricordate il beffardo Draghi quando, commentando l’innalzamento dal 51% al 61% della quota minima di capitale BCC nelle capogruppo (altra misura del Milleproroghe “leghista”), disse che “la quota, se necessario,potrà essere revocata dal Governo”? Intendeva “non QUESTO Governo”, ma molti non capirono. Oggi credo sia chiaro cosa intendeva dire. Sempre più “Cronaca di una morte annunciata”, dunque.
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