Chi vi ha detto che siamo un popolo di vinti?

di Anna Rita Rossi

Il Professor Possenti è un ricercatore straordinario che ha tenuto conto delle più recenti ricerche archeologiche e paleontologiche, ha approfondito gli archivi storici di Germania, Austria, Francia e Gran Bretagna, interpretando i fatti in maniera nuova e più aderente alla realtà, smontando in particolare alcuni radicati pregiudizi contro l’Italia.

Il pregiudizio più eclatante al quale ha lavorato e che ne determina l’audacia nel perseguimento della verità è quello indotto soprattutto dalla propaganda inglese, sugli italiani e la guerra. Il Professore ha dimostrato per esempio che, mentre l’impero inglese veniva costruito con poche migliaia di uomini, solo Venezia schierava contro i turchi, in guerre interminabili, oltre 100 navi da guerra e più di 100 mila uomini. Numeri che ribaltano molti luoghi comuni che invece vorrebbero gli avi dell’italica memoria più deboli davanti all’Inghilterra.

Ma facciamo un passo indietro per comprendere le “radici degli italiani”. Un passaggio illuminante che mi ha fatto tirare il fiato fino in fondo preso dal volume I del teso: «Il millennio Romano» “E’ il 21 aprile 753 avanti Cristo, il giorno in cui, secondo la tradizione, veniva fondata Roma.

È vero che su questa data, fin dall’ antichità sono stati sollevati molti dubbi ed essa rappresenta piuttosto un giorno simbolico: il Versacrum, la festa della primavera, dal vigoroso risveglio della natura e del rinnovarsi della vita.

Addirittura qualcuno, anagrammando il nome di Roma, ha scoperto che significa Amor, amore. Ma è più facile che questo nome fatidico derivi da un arcaico «Stroma», cioè la città del fiume.

Ed è questa la tesi che ci convince di più, data anche la grande importanza del Tevere per i popoli di queste zone.

Per quanto riguarda l’anno di fondazione di Roma, esiste ancor più incertezza.

Da un insediamento permanente, anche in epoca anteriore alla data convenzionale, si sviluppa il primo nucleo della città. E’ probabile che in questa epoca si siano completati degli accordi fra tribù che permisero un’intesa permanente fra le popolazioni stanziate sul Palatino e quelle del Quirinale che avevano creato la loro roccaforte sul Campidoglio.

Non è da escludere che nel frattempo gruppi etruschi si fossero già stabiliti sulle rive del Tevere nei pressi dell’isola Tiberina e nella zona del Foro, dove già nell’antichità c’era una strada che faceva riferimento preciso agli artigiani etruschi del luogo.

Il gruppo del Palatino e quello del Quirinale erano senza dubbio i due popoli principali: da un lato i Latini e dall’altro i Sabini, popolazioni piuttosto affini anche linguisticamente, ma tutt’altro che identiche.Non vi è dubbio che i Sabini, già nella tradizione romana più antica, fanno pensare ad un gruppo di provenienza nordica o alpina emigrato in Italia in epoca più recente.

Di questo gruppo, infatti, ci sono state tramandate caratteristiche fisiche centroeuropee, come capelli di frequente rossi o biondastri, statura slanciata, cranio dolicocefalo e visi piuttosto ovali. Questi dati somatici, ricavabili da alcune descrizioni antiche, sono confermati anche da alcuni reperti ossei e da sculture in nostro possesso.

I Romani facevano maschere funebri molto accurate: da esse possiamo trarre, con una certa precisione, anche alcuni dati somatici.

Il ceppo latino abitante sul Palatino, invece, si era stanziato nel Lazio e più precisamente sui colli Albani, in un’epoca anteriore ai Sabini, in zone probabilmente già abitate da genti liguri.

Pertanto avevano assorbito parte di questa popolazione ed anche molti dei caratteri psichici e somatici, di tipo più strettamente mediterraneo.

In questo, il lettore deve aver ben chiara la differenza enorme che, sia sul piano fisico sia su quello culturale, separano le varie popolazioni dell’Italia antica dagli Italiani di oggi.

Potremmo parlare di popolazioni romano-italiche per questa prima epoca e di «latini», o meglio neolatini per quelle successive, già a partire dal II secolo dopo Cristo.

Con la parola neolatini (l’accezione inglese latini è causa di molti equivoci), anche oggi si intende un insieme di razze diverse, che hanno una comune eredità culturale, e una lingua derivata da quella dei Romani (Latini), ma che mostrano, solo in percentuali minime, l’appartenenza etnica ai ceppi originari del Lazio antico.

Potremmo dire che il fenomeno che si verificò nell’America Latina aveva avuto un importante precedente anche in altre parti dell’Europa sottomesse dai Romani.

Da Roma ereditarono la cultura e la lingua ma non i caratteri etnici dominanti. …Complessivamente la popolazione raggiunse allora 3 milioni di abitanti circa, cifra che si mantenne fino al periodo precedente la prima guerra punica. Da allora la popolazione romana andò diminuendo continuamente fino a ridursi progressivamente a non più di un milione di individui alla fine del I secolo dopo Cristo, quando l’imperatore Vespasiano decise di liberarla dal servizio militare obbligatorio, per impedire l’estinzione di alcune tribù, che come quella dei Velini era ridotta a poche centinaia di persone. Perché questa decadenza e questa trasformazione?

In questa epoca, appare ai nostri occhi una solida popolazione rurale di tipo centro-europeo di grande forza fisica, dal tronco possente, dalla spalle larghe, con gambe più corte, ma più robuste di quelle dei nordici, di struttura prestante ed armonica e di notevole statura media.

Il legionario romano era abituato a marciare per decine di chilometri anche in un solo giorno, con carichi che fra armi e salmerie erano spesso di 30 o 40 kg ed anche più.

Non è assolutamente fondata la concezione diffusa in certi Paesi dell’Europa settentrionale che i Romani fossero una popolazione di tipo strettamente mediterraneo, di struttura fisica fragile, di altezza inferiore alla media europea, come ad esempio furono i Mongoli o altre popolazioni mediterranee.

Quel poco che ci rimane dice però innanzi tutto una cosa assai poco nota: gli scheletri delle popolazioni romano-italiche primitive appartenevano ad individui fisicamente più forti, prestanti e di più alta statura rispetto a quelli che abitarono l’Italia verso la fine del I secolo dopo Cristo.

Tanto per intendersi, all’epoca della distruzione di Pompei (79 avanti Cristo), l’unico periodo per il quale abbiamo una serie di referti scheletrici molto numerosi, la statura degli italici era più bassa e l’ossatura meno forte che nell’epoca arcaica o repubblicana.

Ma fin dall’inizio della storia appare chiaro che la causa essenziale di questa decadenza fu l’enorme sacrificio di vite umane ricaduto sia sulle spalle del contadino che del nobile romano, in quella straordinaria impresa che portò Roma e la limitata popolazione italica al dominio del mondo allora conosciuto.

L’impero romano non fu certo fatto con le poche centinaia di morti delle battaglie navali inglesi e con le scarse perdite delle guerre coloniali europee. Il servizio militare obbligatorio per il giovane romano durava 20 anni più 5 o 6 anni di addestramento. Venivano presi i giovani di leva a 17/18 anni e non venivano rilasciarli quasi mai prima dei 40 anni.

«Legio» significava in latino «scelta».

Ogni anno si faceva la scelta o leva di tutti i maschi adulti, sani e adatti alle armi, lasciando a incombenze agricole o casalinghe quelli deboli e malaticci, assieme alle donne e agli anziani.

Questo sistema durato per secoli non favorì certo la razza romana.

Inoltre finché i Romani furono in grado di sospendere le principali attività belliche in autunno, per riprenderle a marzo, all’inizio della primavera, avevano qualche mese da dedicare alla famiglia e alla convivenza con la propria moglie e quindi alla procreazione dei figli.

Le guerre si combatterono prima nelle zone rivierasche del Mediterraneo, e poi in zone sempre più lontane dall’Italia, ai remoti confini dell’Impero. Si cominciò a porre il problema delle «vedove bianche», cioè delle famiglie in cui la presenza dell’uomo era sempre più rara.

In seguito gli insediamenti di colonie romane e latine avvennero entro i confini dell’Italia storica, ci furono spostamenti di popolazioni all’interno del territorio italico, ma non una ulteriore perdita etnica come avvenne più tardi con la formazione di colonie in lontane zone dell’Impero. Inoltre, durante il periodo della fondazione di colonie in Italia, le donne seguivano gli uomini che avevano avuto assegnazioni di terre.

La donna romana, però, non era una nomade, come le donne barbare e spesso finì per rimanere a casa da sola nella speranza, quasi sempre vana, del ritorno del proprio uomo partito in gioventù.

Il problema demografico era già gravissimo alla fine della seconda guerra punica, a causa delle enormi perdite dei giovani romani sui vari fronti di guerra: si calcola infatti che circa la metà degli uomini cadde in queste lunghe campagne militari. Basti pensare che nella sola battaglia di Canne perì un quarto della gioventù dell’Italia centrale.La battaglia di Aurasio, contro Cimbri e Teutoni, distrusse i 2/3 della nobiltà e dei cavalieri: i primi, come era consuetudine, chiamati alle armi e a pagare col sangue il loro debito verso la Repubblica. Le guerre civili, anche queste spietate, fecero il resto.

Il processo di decadenza demografica divenne allora un fatto irreversibile.

Quando poi i confini dell’Impero si allargarono sui tre continenti, il ritorno per il legionario divenne sempre più problematico. Non era ormai più pensabile che un soldato di stanza ai confini della Scozia, o fra le montagne del Caucaso, potesse tornare a Roma per la famiglia. Era un viaggio che avrebbe richiesto due anni di tempo.

Questa ragione geografica, oltre alle continue perdite su tutti i fronti di guerra, portò ad un vero collasso l’etnia romana, al volgere dell’era volgare.

Il problema fu compreso in tutta la sua drammaticità da Augusto, ma nonostante i provvedimenti presi dal grande imperatore il processo di diminuzione della popolazione romana era ormai divenuto irreversibile.

Perdite di guerra, insediamenti coloniali, mancanza di procreazione, causata dalla divisione delle famiglie, sono le tre cause principali che portaronoprogressivamente alla fine della razza romana.

Per cui, a parte alcuni ceppi originari, etnicamente depauperati, rimasti ancora insediati, specie sulle montagne dell’Italia centrale, (le pianure erano da tempo divenute latifondi lavorati da schiavi o da semi liberi che continuarono a resisterenel Medioevo), la stirpe romana può, come tale, ritenersi quasi distrutta alla finedel II secolo dopo Cristo.

Roma sopravvisse soprattutto per una continuità storica, culturale ed anche territoriale che prese corpo prima nella trasformazione dell’Impero, da pagano a cristiano, ed in seguito con la «surroga» dei poteri dell’Impero in vaste aree d’Italia da parte dei Pontefici romani.

E’ stato il cattolicesimo e la struttura anche giuridica della Chiesa ad ereditare ampiamente il patrimonio di Roma. E’ stato detto che la Chiesa cattolica è il proseguimento dell’Impero romano in forma teologica, e il Papa un imperatoreromano tornato più o meno al rango dell’antico «Rex Sacrorum».

Ma pur sottolineando i legami innegabili fra la romanità del tardo impero e la nuova istituzione cattolica, cultura e nazione romana da un lato, cristianesimo e nazione giudaica dall’altro, furono dei fattori opposti e si combatterono fermamente.

La continuità diretta fra Roma ed il cristianesimo esprime il senso della continuità morale e religiosa della civiltà europea tra Roma, Medioevo ed età moderna con aspetti puramente formali e rituali del tardo Impero ripresi dalla Chiesa (paramenti, liturgie e gerarchie cattoliche di vario genere).

Roma chiuse comunque la sua vicenda storica senza lasciare singoli eredi diretti, ma un patrimonio civile e morale comune a tutti i popoli dell’Occidente europeo ed anche dell’Oriente.

Il confronto con quella grande stirpe eroica e terribile insieme, ha tuttavia ossessionato gli italiani per secoli. Gli italiani si sentirono un poco come certi nobili decaduti, discesi anche per una limitata ascendenza dai rami collaterali di qualche grande famiglia.

Una cosa però è certa: la grandezza di Roma li ha immunizzati da una sorta di nazionalismo moderno e dalle frustrazioni che ne sono spesso la causa. Gli italiani non concepiscono nella maniera di altri popoli europei sentimenti di superiorità o inferiorità verso le altre nazioni.

II nome di Roma, di cui in qualche modo a torto o a ragione si sentono eredi, è talmente grande e universale, da non consentire il nascere di un limitato nazionalismo. E’ necessario provocare il sentimento nazionale degli italiani, per avere delle reazioni. Ma è un sentimento discontinuo e contingente.

Quale famiglia di autentica nobiltà, del resto, per quanto impoverita e abbattuta, le cui origini si perdono nella notte dei secoli, può sentirsi veramente offesa dagli sberleffi di un plebeo maleducato o da un millantatore?

Questa è stata la grande forza dell’Italia anche nei momenti oscuri della sua storia.

L’italiano fin da quando nasce respira questo senso di composta sicurezza che confina nell’indifferenza, ed anche nella eccessiva confidenza nei confronti di un patrimonio civile e culturale, che dovrebbe, per certo, comprendere meglio, e amministrare con più cura.”

Dopo un inizio così minuzioso e folgorante la prospettiva di visione della storia non può che cambiare ma è il Prof. Possenti stesso che nell’intervista a seguire ci indicherà la via della lettura del testo che invito a leggere con cura Prof Possenti, può descrivere in poche parole l’ impianto su cui si basa la sua opera ? “L’ Italia è l’unica nazione al mondo che, pur tra profonde trasformazioni, è rimasta se stessa sul piano civile e culturale.

La stessa Grecia, paese di cultura antichissima, ha visto spezzarsi la continuità della propria storia con l’occupazione turca. Nessun altro paese può vantare radici civili come l’Italia.

Il secondo punto è che la nostra storia non è nazionalista, ma è il contributo fondamentale dato all’Europa con la civiltà giuridica dei romani e la lingua latina per il periodo antico; è il contributo alla civiltà cristiana sempre irradiata da Roma a tutti i popoli dell’Europa medievale, intessendo in particolare un rapporto politico dinastico ed economico culturale con i paesi di lingua tedesca culminata con la grande vicenda delle crociate.

All’inizio dell’ epoca moderna poi il contributo dell’Italia all’Europa è forse altrettanto grande che quello dell’impero romano con la grande cultura rinascimentale, ma soprattutto l’Italia ha contribuito alla grande svolta del mondo nell’ epoca delle grandi scoperte della terra, sia per quanto concerne le vie dell’Asia che le scoperte oceaniche. …

…L’Italia dei condottieri non fu certo solo quella delle compagnie di ventura ma principalmente quella di Ambrogio Spinola di Emanuele Filiberto, di Andrea Doria, di Sebastiano Venier dei Collalto e dei Colloredo, di Torquato dei Conti di Segni, di Mattia Gallasso di Raimondo Montecuccoli, del Caparra, di Eugenio di Savoia e diciamolo pure anche di Napoleone.

Questo aspetto è stato taciuto perché l’impero e gli Asburgo erano divenuti invisi al nazionalismo francese e alla Massoneria che volle poi l’unità di Italia contro il papato con l’appoggio degli inglesi, contro l’idea giobertiana di Pio IX che voleva un Italia federale come la voleva anche Napoleone III, l’uomo che fece veramente l’unità d’Italia.

Chi ricorda la stretta amicizia fra i Mastai Ferretti e i Bonaparte, e in particolare Pio IX e Napoleone? Questo non faceva certo comodo a chi voleva invece la terribile guerra del 14 –18, origine prima della rovina d’Europa e delle grandi tragedia del nostro continente.

L’Italia usciva da queste prove dominata dalla cultura massonica e comunista e nel decennio tragico fra 1968 ed il 1978 finiva per perdere la più profonda identità storica quella fondata sul cristianesimo a sulla famiglia.

Ricostruire l’Italia è possibile solo fondandosi su tre millenni di storia gloriosa ed unica nel suo genere tutta vissuta non per realizzare un egoistico interesse nazionalista ma solo nell’interesse della Civiltà Europea dell’ Occidente.

Si sottragga quindi la storia di Italia ai luoghi comuni di chi odia il nostro paese per la religione e per la sua gloriosa storia, passato che partendo da Roma giunge ai giorni nostri”.

In un momento in cui le crisi sociali e economiche e politiche devastano il globo sversando

incertezza fra i popoli e ci si chiede dove si andrà a finire, il Prof. Paolo Possenti con ‘Le radici degli italiani’ (edizioni Effedieffe) ci mostra un sentiero luminoso.

L’opera magistrale è di 1350 pagine di storia totalmente rivissuta e rivisitata che fanno giustizia delle storiografie “ufficiali” che dipingono l’ Italia come un paese di seconda classe, gli italiani un popolo di soldati che scappano, che vivono della luce altrui, insomma un’ italietta.

Possenti mette in crisi l’impianto protestante massonico ed anglosassone che a suo avviso mira a svilire l’Italia per svilire Roma e la Romanità e per svilire il Cristianesimo. Interi capitoli di storia italiana e storia europea che sono in grado di far risvegliare profonde memorie solo sopite o modificate a dispetto di chi la storia invece la manipola ad arte dimentico dell’esistenza degli archivi e di chi vi indaga.

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