Quanto è probabile lo scoppio di una terza guerra mondiale?
Ripassiamo
Mohammed Mossadeq, l’ex
primo ministro iraniano, ha avuto la colpa di nazionalizzare le risorse
petrolifere del suo paese (1951) restituendole al popolo. La cosa non piacque
molto e il potere angloamericano (gli inglesi, dopo l’occupazione condotta in
tandem da Stalin e Churchill nel ’41, avevano “beneficiato“ del petrolio
persiano – in seguito British Petroleum BP -) organizzò, per mano della CIA e
dell’M16 inglese (1), un colpo di stato (operazione Ajax, agosto ‘53) che
rovesciò il governo di Mossadeq e impose il ritorno di Reza Pahlavi estinguendo
così il primo esperimento democratico del paese. Il regime di Pahlavi si mostrò
conciliante con Israele e molto duro con la opposizione interna a cui riservò 26
anni di sevizie per mano della sua polizia segreta, la Savak, sino all’avvento
della rivoluzione Khomeinista del ’79 che allineò il paese alla Sharīa islamica
sciita e dichiarò fuorilegge monarchici e comunisti. Il regime di
Khomeini chiese alla Chase Manhattan Bank (in seguito JP Morgan) di poter
disporre dei depositi dello Scià per pagare i suoi obbligazionisti ma ricevette
un netto rifiuto; oltre al danno la beffa: i tribunali statunitensi
dichiararono l’Iran inadempiente e ne congelarono i beni.
Anche i contratti di concessione che il fondatore dell’Eni, Enrico Mattei,
stipulò con lo Scià di Persia non furono graditi agli inglesi. La “formula
Mattei” in Medio Oriente, così come in Africa, inaugurò un nuovo modo di
rapportarsi con i paesi usciti dalla colonizzazione offrendo loro di entrare in
joint venture con
Eni-Agip,
garantendogli il 75% dei proventi nella ripartizione delle royalties,
riservando il 25% all’Italia contro la regola vigente del fifty-fifty. Mattei
operò così una rottura con le regole di sfruttamento delle risorse petrolifere a livello internazionale che non gli/ci
fu perdonata. Il nostro Enrico fu assassinato nel 1962.
La successiva risposta angloamericana costò all’Iran 8 anni di guerra, dal 1980
all’88, scatenata per tramite dell’Iraq di Saddam Hussein, amico stretto di
Reagan, allevato dai servizi segreti americani. La guerra fece centinaia di
migliaia di vittime ma l’Iran non si piegò malgrado Saddam non si fosse fatto
scrupolo di usare persino armi chimiche. Oggi, l’Iran dell’Ayatollah Ali
Khamenei, è accusato di sostenere il terrorismo di Hezbollah e Hamas, sorto in
risposta alle occupazioni di Libano e Palestina, e di aver agito contro lo
Stato Islamico e al Qaeda ma soprattutto di coltivare un programma di riarmo
nucleare che “ha costretto“ gli USA a circondare di sue basi militari l’Iran
per “proteggere“ il mondo dalla presunta minaccia iraniana. L’accordo sulle
limitazioni al programma nucleare iraniano raggiunto da Obama nel 2015,
patrocinato dalla Ue, è stato fatto saltare da Trump che, senza alcuna prova,
ha accusato l’Iran di presunte violazioni malgrado l’Atomic Energy Organization
ne certificasse il rispetto. Nel frattempo nessuno sembra accorgersi delle
circa 100 testate nucleari israeliane forse perché quel paese non ha mai
accettato di aderire all’AIEA e tanto basta… eppure i sionisti, con il loro
violento espansionismo, non hanno mai dato segni di rinuncia al loro “sogno“ di
Grande Israele: una Terra Promessa che si estendesse dal Nilo all’Eufrate sino
a comprendere parte della Turchia e della Penisola Arabica.
Di recente si è registrato un ulteriore avvicinamento tra Nato ed Israele che
ha rafforzato la collaborazione attraverso un piano militare (piano Gideon) per
complessivi 79 mld; un piano in grado di rafforzare la capacità di intervento
simultaneo lungo il confine con il Libano e la Siria così come in altre aree
calde quali Cisgiordania, Gaza e Iran.
Un forte elemento di accusa nei confronti dell’Iran, spesso taciuto, consiste nel rifiuto,
da più di dieci anni a questa parte, del dollaro, escluso dalla borsa
petrolifera iraniana che ammette solo valute come euro, yuan, yen, rupia. All’Iran
sono state inflitte e rinnovate, sanzioni ONU e sanzioni unilaterali USA; tali
sanzioni danneggiano i rapporti economici della Ue con l’Iran e in particolare
con il nostro paese anche se in molti compensano le perdite vendendo armi a
Ryadh, impegnata a bombardare i civili dello Yemen.
La Russia è sempre stata
vista e vissuta come un mercato naturale per l’Europa, in grado peraltro di
fornire gas naturale e altre materie prime. La Nato si è posta tra Europa e
Federazione Russa a impedimento strutturale di questa relazione. L’Europa sa
ancheche il proprio commercio monetario internazionale e l’utilizzo dell’euro
quale valuta di riserva internazionale in grado di mettere in discussione il
ruolo del dollaro suscitano l’iradegli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non
considerano più l’UE un’entità in
regola.
L’accordo sul nucleare iraniano prevedeva che l’Iran rispettando i suoi impegni
potesse ottenere la cessazione delle sanzioni economiche imposte da
SU, Ue e Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (emanate con la risoluzione 1747). Oggi però l’Iran è stata messa in
grave difficoltà. La produzione del suo greggio è sotto il 50% (700mila barili
al giorno) della soglia minima per far girare la sua economia (1milione e
200mila barili al giorno). Poiché l’Iran non ha mai violato l’accordo sul
nucleare gli ultraconservatori vicini all’Ayatollah Ali Khamenei rischiano
di avere la meglio sui moderati, guidati dal presidente Hassan Rouhani,
che sono stati i principali sostenitori degli accordi seppure l’Ayatollah abbia
già chiarito attraverso una “fatwa” che bandisce le armi nucleari. Nei fatti,
le frange più reattive di parte iraniana rischiano di essere catalizzate dai
falchi più estremisti dell’amministrazione Usa, alla perenne ricerca dello
scontro frontale, mentre l’Ue sta a guardare.
Le esenzioni prima previste per Italia, Cina, India, Corea del Sud, Turchia, Grecia, Giappone e Taiwan non sono state rinnovate. Le divisioni interne alla Ue, che dovrebbero ricomporsianche in ottemperanza alla comune aderenza Nato sotto comando Usa in realtà si esprimono con un’unica voce solo nel caso di Germania e Francia nel rispetto dell’accordo che hanno stretto ad Aquisgrana. I politici europei si lasciano manovrare senza scrupoli da Washington. L’unica speranza di mediazione sembra risiederenella leadership mondiale espressa dai governi russo e cinese.
Il nostro vice-premier Matteo Salvini convocato recentemente a Washington ha conferito con il segretario di Stato Mike Pompeo e il vice presidente Mike Pence entrambi artefici del recente tentativo di colpo di Stato in Venezuela e fautori della strategia di guerra nei confronti dell’Iran; a richiesta esplicita, li ha rassicurati intorno alla posizione dell’Italia nei confronti del Venezuela, della nuova via della seta, e alla continuità di offerta di supporto logistico dell’Italia alle operazioni militari in Medio Oriente, presenti e future. Il “sovranista“ Salvini dichiarando tra l’altro che: «Abbiamo visioni comuni sull’Iran, la Libia, il Venezuela, il Medio Oriente, sul diritto all’esistenza di Israele, sulla preoccupazione riguardo alla prepotenza cinese riguardo all’Europa e al continente africano (…)» tiene ad affermare che «l’Italia vuole tornare a essere nel continente europeo il primo partner della più grande democrazia occidentale». Queste dichiarazioni da parte del leader emergente, che testimoniano una virata netta rispetto a sue precedenti prese di posizione sugli stessi temi, consentono all’Italia di avere maggiore forza contrattuale rispetto alla sua forza contrattuale nella Ue; un primo effetto potrebbe essere stato un contributo non trascurabile rispetto alla mancata procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Oltretutto ribadendo l’impegno per contrastare lo sviluppo di una difesa europea sostitutiva della Nato, Salvini prova ad affiancarsi a Berlino scalzando Macron che ad essa sembra mirare. Berlino, infatti, malgrado gli accordi di Aquisgrana, su questo piano, continua a mostrarsi reticente. La recente visita ufficiale a Roma di Putin, l’ultima risaliva a quattro anni fa, ha consentito all’Italia di riequilibrare il suo sbilanciamento atlantico. È stata definita un’intesa tra CdP e il fondo russo RF che si impegna ad investire almeno 300 milioni per sviluppare le imprese italiane che intendono operare in Russia. Negoziati con Barilla, Pirelli e Generali. Putin ha auspicato che l’Italia recuperi l’interscambio con la federazione russa dimezzatosi a causa delle sanzioni imposte dagli Usa rispetto ai 54 mld di dollari del 2013.
Il recente attacco del
13 giugno alle petroliere nel golfo dell’Oman nello stretto di Hormuz che ogni
anno vede il transito di 24000 navi cisterne (un terzo del transito mondiale) è
stato attribuito dagli USA all’Iran. In verità non è facile capire perché un
paese militarmente circondato dovesse abbandonarsi a simili provocazioni. Una
delle due petroliere batteva bandiera giapponese. Durante l’evento l’Iran stava
ospitando il primo ministro giapponese Shinzo Abe, che si trovava lì per una
mediazione; strano che l’Iran potesse scegliere proprio quell’occasione
per attaccare una petroliera giapponese. Impossibile non fare l’associazione
di idee con un altro golfo, quello del Tonchino (agosto 64) e l’inizio dell’aggressione
statunitense a danno del Vietnam o con la più recente esibizione pretestuosa
della provetta di antrace di Colin Powell all’ONU che riaprì il conflitto con l’Iraq;
vengono anche in mente gli stupri di cui furono accusati i soldati di Gheddafi
o l’uso di armi chimiche da parte di Assad a danno del suo stesso popolo, ecc..
Il
successivo sconfinamento del drone Usa RQ4 nello stretto di Hormuz, abbattuto
dalla contraerea iraniana rafforza l’ipotesi che si tratti di una messinscena
che ha rischiato, però, di portare i due paesi ad un passo dalla guerra e che
forse mirava a guastare preliminarmente l’incontro tra Putin e Trump al G20
previsto per il 28 e il 29 giugno ad Osaka.
Prima dell’attacco
di giugno erano già stati inviati nel Golfo Persico la portaerei Abraham
Lincoln, l’incrociatore USS Leyte Gulf e quattro destroyers e
bombardieri B-52.
A metà maggio il Segretario della Difesa Usa Patrick Shanahanaveva presentato preventivamente un piano di invio di 120000 militari nel Medio Oriente, da predisporre nel caso di attacchi a danno delle forze americane o nel caso di accelerazione dello sviluppo del programma nucleare iraniano;
Ricordiamo che nel 2008 Bush, nel corso di una riunione, si chiedeva come provocare e legittimare la guerra contro l’Iran; il giornalista Seymour Hersh, Premio Pulitzer, scrisse: “Furono avanzate decine di proposte su come scatenare la guerra”. Del resto il falco Bolton nel 2015 dalle pagine del NYT urlava il suo «To stop Iran’s bomb, bomb Iran» (2).
Trump, come colto
di sorpresa dagli eventi è apparso restio a rispondere militarmente; ha
dichiarato di essere stato lui stesso a fermare all’ultimo momento i caccia
ordinando l’arresto di una rappresaglia militare già in atto contro l’Iran «Trovo
difficile credere che sia stato intenzionale» forse anche perché i suoi prossimi
impegni elettorali lo sconsigliano fortemente ad imbarcarsi in una tale
avventura.
Da entrambi le parti sembrerebbe aver prevalso la ragionevolezza tesa ad
evitare perdite umane: 150 quelle iraniane che sarebbero state causate dalla
risposta delle forze USA, 35 quelle americane, nel mirino iraniano, militari
statunitensi a bordo dell’aereo da pattugliamento P8 Poseidon che affiancava il
drone.
Secondo indiscrezioni riportate dalla stampa, a spingere per l’attacco sono
stati il segretario di stato Mike Pompeo (ex capo CIA), il consigliere alla
sicurezza nazionale John Bolton e il direttore della Cia Gian Haspel. A frenare
sono invece stati i funzionari del Pentagono.
In ogni caso, il risultato dell’uscita unilaterale dall’accordo da parte degli
Usa ha avuto come esito l’annuncio di Zarif del 2 luglio scorso- confermato
dalla AIEA – della ripresa del processo di arricchimento dell’uranio – le
riserve di uranio arricchito hanno ora superato il limite di 300 kg stabilito
nell’accordo del 2015. Teheran riapre così la strada allo sviluppo di armi
nucleari in coerenza con quanto contemplato dallo stesso accordo in caso di suo
scioglimento. L’Ue, cofirmataria e garante si astiene, tuttavia, da qualsiasi
presa di posizione credibile accodandosi in ultima analisi al dictat USA/NATO.
Anche il cosiddetto INSTEX [INSTEX funziona come uno scambio in euro che opera
al di fuori del sistema di pagamenti internazionali SWIFT dominato dal dollaro
americano] messo a punto dagli europei per far fronte alla campagna di sanzioni
dell’amministrazione Trump contro Teheran, che dovrebbe consentire agli
iraniani di aggirare le restrizioni degli Stati Uniti e facilitare gli scambi
europei con Teheran, si rivela insufficiente ad «aiutare l’Iran al rispetto
dell’accordo (nucleare)» contrariamente agli auspici della F. Mogherini. Nel
frattempo Russia e Cina si stanno organizzando per creare un proprio sistema di
trasferimento bancario nel caso in cui gli Stati Uniti le staccassero da SWIFT.
Il recente sequestro da parte delle autorità di Gibilterra di una nave petroliera iraniana (affittata da una società russa), un vero e proprio atto di pirateria, con partecipazione inglese e mandato Usa, la dice lunga sulla volontà di provocazione di una escalation finalizzata allo scatenamento della guerra contro l’Iran. Siamo già molto oltre a quanto il Segretario di stato Mike Pompeo aveva annunciato: nuove sanzioni contro ogni Paese che importi petrolio iraniano; è iniziato nella maniera più clamorosa possibile il controllo dei corridoi energetici via mare. Naturalmente la risposta iraniana potrebbe essere il simmetrico sequestro di una petroliera britannica…
Il ministro degli
esteri iraniano, M. Javad Zarif, in un’intervista trasmessa sullo show
televisivo via cavo, Fox News Sunday, ha dichiarato che la “squadra B”, composta
dal consigliere della sicurezza nazionale statunitense John Bolton, il principe
ereditario dell’Arabia Saudita Bin Salman e degli Emirati Arabi Uniti Bin
Zayed nonché “Bibi”, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – sta
spingendo il presidente Trump, ad avviare una folle guerra, che lui non vuole,
contro la Repubblica Islamica dell’Iran.
Nel B-team, in pratica, i quattro peggiori nemici dell’Iran.
Washington mira a danneggiare la Russia imponendo all’Europa il suo gas in sostituzione di quello russo senza peraltro essere in grado di fornire garanzie di stabilità dei prezzi (generalmente più alti), né sulla durata delle forniture Usa – idrocarburi estratti con la tecnica del fracking, ambientalmente disastrosa.
Va tenuto presente che Iran, Iraq, hanno riserve petrolifere 5 volte quelle degli USA il Venezuela è il paese con le maggiori riserve petrolifere al mondo. Il gas iraniano è due volte e mezzo quello USA. Mike Pompeo annunciando che «gli Stati uniti difenderanno la libertà di navigazione» attraverso lo stretto di Hormuz, in piena continuità con la volontà di controllo militare dei corridoi energetici, afferma, in realtà, l’intenzione di mettere i suoi “semafori militari“ in una zona fondamentale per l’approvvigionamento energetico anche dell’Europa. Ricordiamo che era previsto (2011) che dall’Iran arrivasse in Europa anche gas naturale per mezzo di un gasdotto che avrebbe attraversato Iraq e Siria ma che il progetto fu fatto abortire dall’operazione Usa/Nato che ha mirato alla demolizione dello Stato siriano. Osserviamo che controllare il mercato del petrolio mondiale permette agli americani di controllarne il prezzo a discapito di Russia (forte esportatore) e Cina (forte importatrice).
Putin in Italia, ha incontrato Conte. Ricordiamo con l’occasione che il gas che dalla Russia sarebbe dovuto arrivare attraverso il south stream (gasdotto in avanzata fase di costruzione, per uno smistamento verso l’Europa è stato bloccato da UE e SU per favorire al suo posto il raddoppio del north stream che dà alla Germania il controllo dello smistamento del gas russo in Europa. Coinvolte anche le esportazioni di gas naturale liquefatto
( -161°) provenienti
dagli USA, con centro di smistamento la Polonia, come previsto dall’accordo di
cooperazione strategica tra SU e Ue del luglio 2018.
ci chiediamo
Il trattamento
riservato dagli Usa a Iraq e Siria sta per essere ripetuto all’Iran?
È in programma un qualche altro attacco, sotto falsa bandiera, meno
controllabile, che costringerà Trump
a salvare la faccia attaccando l’Iran?
È legittimo temere una qualche riedizione del progetto Northwoods, a suo tempo
top secret, che fu sottoposto a Kennedy, finalizzato alla occupazione di Cuba?
Nel caso di attacco all’Iran, suo alleato storico, la Russia di Putin interverrà
come ha fatto con la Siria? La Cina che ha stretto accordi non solo economici
con la federazione russa si manterrà neutrale? L’India che ha già inviato sue
navi da guerra nel golfo, ufficialmente a difesa delle sue navi cisterna che
transitano nel golfo, continuerà a mantenersi neutrale?
Oltre ad aver
disattivato l’accordo con l’Iran gli SU hanno annunciato il loro ritiro dal
Trattato Inf il 2 agosto, preparandosi a schierare in Europa missili nucleari a
gittata intermedia (da 500 a 5500 km) con base a terra. Con quali conseguenze?
A pensar male sarebbero
gli israeliani ad apparire oggi fra i più adatti e motivati a fare il lavoro
sporco abbattendo velivoli americani o altro, facendo in modo che ci scappi
qualche vittima USA; il mainstream mediatico farebbe il resto accusando all’unisono
l’Iran. In passato (1981) Israele non ha esitato a usare le maniere forti
contro il centro nucleare di Osiraq bombardandolo (operazione Babilonia).
L’ex vicepresidente Dick Cheney aveva dichiarato l’Iran in cima alla lista dei “paesi canaglia“ nemici dell’America, e che Israele avrebbe, per così dire, «potuto fare il bombardamento per noi» senza il coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti, senza che gli Usa fossero costretti ad esercitare alcuna pressione a tal fine. (Vedi Michel Chossudovsky, Planned US- Attacco israeliano a Iran, Global Research, 1 maggio 2005).
Secondo Dick Cheney:
«Una delle preoccupazioni che le persone hanno è che Israele potrebbe farlo senza che venga chiesto … Dato il fatto che l’Iran ha una politica dichiarata, che il loro obiettivo è la distruzione di Israele, gli israeliani potrebbero decidere di agire prima, e lasciare che il resto del mondo si preoccupi di ripulire il caos diplomatico che ne seguirebbe» (Dick Cheney, citato da un’intervista di MSNBC, gennaio 2005)
Il problema è davvero l’Iran o il rifiuto da parte USA di accettare il nuovo ordine multipolare che si sta molto velocemente consolidando mettendo in discussione l’egemonia imperiale americana?
Sappiamo
che
L’agenda militare USA-NATO non si è fatta scrupolo di unire a operazioni
militari teatrali azioni coperte volte a destabilizzare gli Stati sovrani. Il
progetto imperialista è concretato nella destabilizzazione e distruzione di
paesi attraverso atti di guerra, cambi di regime, finanziamento di
organizzazioni terroristiche che hanno fatto largo uso di contractors così come
della guerra economica.
In particolare, in Medio Oriente e in Nord Africa, si è agito dapprima
attraverso insurrezioni sponsorizzate da NATO e USA contro Afghanistan, Iraq,
Libia, Siria, Yemen, risultate preparative di guerre più o meno aperte nel segno della lotta
al terrorismo su scala internazionale.
In America Latina e nell’Africa sub-sahariana hanno prevalso interventi orientati al cambio di regime e alla guerra
economica contro un gran numero di paesi non allineati alle direttive imperiali:
Venezuela, Brasile, Argentina, Ecuador, Bolivia, Cuba, Salvador, Honduras,
Nicaragua.
Strumento di “politica
estera“ degli Stati Uniti è
stata l’imposizione manu militari della “democrazia“
per far sì che i paesi recalcitranti seguissero i dettami USA e aprissero la
propria economia agli “investimenti“ degli Stati Uniti e accettassero processi
di espropriazione privata e pubblica sponsorizzati da FMI e BM.
La destabilizzazione economica degli Stati si è ottenuta imponendo ricette
neoliberiste: politiche monetarie eterodirette finalizzate allo sfruttamento di
cose e persone: aree monetarie comuni, cambi fissi, piani di austerity,
privatizzazione delle infrastrutture pubbliche, appropriazione indebita di beni
comuni, inattivazione della regolamentazione pubblica, tutto secondo la
direzione delle istituzioni globali sotto comando USA: il Fondo Monetario
Internazionale, la Banca Mondiale, la Nato. Guerre aperte da una parte e piani
di aggiustamento strutturale dall’altra hanno portato più violenza, miseria,
migrazioni di massa, tutt’altro che democrazia, provocando arresto della
evoluzione civile ed economica e anche involuzione dei paesi che hanno subito
tali processi al fine di meglio parassitarli e disporne a proprio uso e
consumo.
tuttavia
come spiega M. Chossudovsky dalle pagine di Global Research: «la politica di accerchiamento strategico contro l’Iran formulata sulla scia della guerra in Iraq (2003) non è più funzionale. L’Iran ha relazioni amichevoli con i paesi vicini, che in precedenza erano all’interno della sfera di influenza degli Stati Uniti.
In queste condizioni, una grande guerra teatrale convenzionale da parte degli Stati Uniti che prevede lo schieramento di forze terrestri sarebbe un suicidio.
Questo non significa, tuttavia, che la guerra non avrà luogo. Per alcuni aspetti, con i progressi delle tecnologie militari, una guerra in stile Iraq è obsoleta.
Siamo comunque in un pericoloso crocevia. Altre forme diaboliche di intervento militare dirette contro l’Iran sono attualmente sul tavolo da disegno del Pentagono. Questi includono:
varie forme di ‘guerra limitata’, vale a dire.
Attacchi
missilistici mirati,
Supporto statunitense e alleato di gruppi paramilitari terroristici alle
cosiddette “bloody nose operations” (compreso l’uso di
armi nucleari tattiche),
atti di destabilizzazione politica e rivoluzioni colorate, falsi attacchi di bandiera e minacce militari, sabotaggio, confisca di beni finanziari, estese sanzioni economiche,
guerra elettromagnetica e climatica, tecniche di modifica ambientale (ENMOD)
guerra cibernetica, guerra chimica e biologica.»
Quanto è probabile lo scoppio di una terza guerra mondiale?
La prima guerra fredda è ufficialmente terminata con il crollo del muro di Berlino nell’89 e con la successiva disgregazione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia nel 91. Tali eventi hanno fatto venire meno le ragioni storiche a giustificazione dell’esistenza stessa della Nato. La Nato poteva essere sciolta. Viceversa essa si è profondamente rinnovata negli scopi e nelle dimensioni: «La grande NATO»; non più una alleanza solo difensiva. Il 7 novembre 1991 il consiglio nord Atlantico vara «il nuovo concetto strategico dell’alleanza»«[…] contrariamente alla predominante minaccia del passato, i rischi che permangono per la sicurezza dell’alleanza sono di natura multiforme e multidimensionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare». Perciò «il mantenimento di una adeguata capacità militare e una chiara preparazione ad agire collettivamente nella difesa comune rimangono centrali per gli obiettivi di sicurezza dell’Alleanza. […] La dimensione militare della nostra alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto ampio di sicurezza». In tal modo l’alleanza atlantica ridefinisce il suo ruolo, fondamentalmente lungo le linee tracciate dagli Usa. (6)
Nelle sue nuovi vesti, l’organizzazione Usa-Nato, ha suscitato i primi conflitti post guerra fredda in Iraq e nella ex-Jugoslavia, primo atto di quell’allargamento ad Est che vede oggi l’espansione della Nato sino alle porte della Russia, con manovre militari, giochi di guerra, dispiegamento di hardware militare, che potrebbero provocare lo scontro con la Federazione Russa. Ultima aggiunta la Macedonia, quale trentesimo membro dell’alleanza atlantica sotto comando Usa.
I più recenti
rapporti strategici USA, in continuità con il Progetto per un nuovo secolo
americano (PNAC – 1997):
«Providing for the common defence» prima parte;
«Sicurezza nazionale: minacce emergenti agli Stati Uniti» seconda parte; (nov. 2018)
«Nuclear Operations»
prodotto dalle Forze armate Usa (11 giugno 2019);
sono documenti coerenti con tutti i grandi cambiamenti intervenuti nella
dottrina e nella strategia americana a partire dalla fine della guerra fredda
nel ’91. Da più di dieci anni tutto sembra convergere verso un unico obiettivo:
la preparazione da parte del Pentagono della guerra totale.
Nel primo ci dicono apertamente che il nemico degli inizi, l’URSS e la sua
ideologia, sostituito successivamente con l’estremismo islamico, costruito ad
hoc, ossia il terrorismo da combattere su scala globale, ha oggi piuttosto le
sembianze di tutti quegli attori globali in grado di mettere in discussione gli
interessi degli SU nel mondo. Indicano espressamente in Russia e Cina il nuovo
nemico; entrambi colpevoli, in quanto artefici principalidi un ordine
multipolare che mette in discussione il dominio egemonico-imperiale degli USA.
La pianificazione della guerra nucleare contro Russia e Cina, in corso da più di
un decennio, èoggi
entrata nella sua fase operativa,
In un clima di
tensione globale provocato dall’ormai rituale mancato rispetto del diritto
internazionale e da aperta guerra economica, la provocazione del casus belli in grado da suscitare la risposta
militare di Russia e Cina e legittimare l’intervento Usa-Nato è apertamente
prevista nel primo rapporto, dove si specifica che saranno possibili scenari
che preludono alla guerra totale entro il 2024 in date diverse, se non in Iran,
in altre zone critiche del mondo e se ne elencano cinque: Taiwan (2024), Mare
della Cina del Sud (2022), Bielorussia (2020), Corea del Nord (2019),
Repubbliche Baltiche (2019). Si tratta di scenari che dovrebbero convincere il
congresso ad incrementare le spese militari mettendo in evidenza i punti di
maggiore vulnerabilità
dell’apparato di guerra Usa-Nato.
Ecco qualche particolare relativo a uno degli scenari prospettati nel primo
rapporto: «Nel 2019, in base a false notizie su atrocità
contro le popolazioni russe in Lettonia, Lituania ed Estonia, la Russia invade
questi paesi. Mentre le forze Usa e Nato si preparano a rispondere, la Russia
dichiara che un attacco alle sue forze in questi paesi sarà considerato un
attacco alla Russia stessa, prospettando una risposta nucleare. Sottomarini
russi attaccano i cavi transatlantici in fibra ottica e hackers russi
interrompono le reti elettriche negli Usa, mentre le forze militari russe
distruggono i satelliti militari e commerciali Usa. Le maggiori città statunitensi
vengono paralizzate, mettendo fuori uso Internet e cellulari».
La Commissione che ha prodotto il rapporto è bipartisan, composta da sei
repubblicani e sei democratici. Lo scenario previsto in Asia nel 2024 prevede
che la Cina (adeguatamente provocata), effettui un attacco a sorpresa contro
Taiwan, occupandola, e che gli Stati uniti non siano in grado di intervenire ad
un costo accettabile perché le capacità militari cinesi hanno continuato a
crescere, mentre quelle statunitensi non si sarebbero adeguate a causa della
insufficiente spesa militare. Tali scenari – chiarisce la Commissione – esemplificano
il fatto che «la sicurezza e il benessere degli Stati
uniti sono a rischio più di quanto lo siano stati negli scorsi decenni».
Propone quindi un
ulteriore aumento della spesa militare statunitense del 3-5 per cento annuo per
accrescere il dispiegamento di forze statunitensi (sottomarini, bombardieri
strategici, missili a lungo raggio) nella Regione Indo-Pacifica dove «sono attivi quattro dei nostri cinque
avversari (il quinto è l’Iran): Cina, Nord Corea, Russia e gruppi terroristi».per evitare, dicono, una tragedia di
imprevedibile ma forse tremenda dimensione – se gli SU non troveranno la
volontà di fare «scelte dure e necessari investimenti».
Recenti notizie di eventi hanno tutta l’aria di concretare e validare alcuni
degli scenari previsti nel rapporto:
infatti gli Usa intendono vendere 2 mld di dollari in armi a Taiwan, armi che
quest’ultima ha chiesto di acquistare. L’annuncio ha prevedibilmente provocato
la reazione estremamente irritata della Cina; recentissima, inoltre, la
tensione provocata nel mare cinese meridionale dopo che il Pentagono ha
accusato la Cina del lancio di missili anti navi in transito nell’area con l’obiettivo,
a detta di Washington, di intimidire gli Stati coinvolti nella disputa
territoriale. Le accuse sono state respinte da Pechino che spiega come fossero
in corso esercitazioni militari di routine che prevedevano il lancio di
proiettili. Sul giornale cinese ‘Global Times’ appaiono condanne verso gli SU: «I
piantagrane che arrivano su navi da guerra non sono i benvenuti nel mare cinese
meridionale». Da diversi decenni la Cina rivendica l’appartenenza territoriale
di un gruppo di isole in quel mare le Isole Paracelso, le Spratly e l’Isola
Huangyan. La contestazione coinvolge, in diversa misura, Vietnam, Brunei,
Malaysia e Filippine. Negli ultimi anni la zona è stata teatro di incidenti con
cacciatorpedinieri americani nelle vicinanze delle isole rivendicate dalla Cina
malgrado le proteste di Pechino.
Nel secondo
rapporto si descrivono i ritardi nella capacità militare Usa rispetto ai principali
rivali, Russia e Cina, in particolare, rispetto alle armi ipersoniche dotate di
velocità, altitudine e
manovrabilità tali
da sconfiggere la maggior parte dei sistemi di difesa missilistica Usa,
utilizzabili per migliorare le capacità convenzionali e di attacco nucleare a lungo raggio. La
potenza militare americana – «spina dorsale
della influenza globale e sicurezza nazionale Usa» – non ha saputo adeguarsi alle necessità a causa di «competitori
autoritari – specialmente Cina e Russia – che stanno cercando l’egemonia
regionale e i mezzi per proiettare potenza su scala globale».
L’ultimo numero del settimanale “Time” (3 giugno) titola: «E’
tempo che il popolo americano sia pienamente informato di una drammatica
eventualità. Gli Stati Uniti (…) possono precipitare nella loro peggiore guerra
nell’arco di una generazione».
Il terzo rapporto, se preso alla lettera, assicura che la guerra termonucleare è
nella strategia americana.
Si
tratta del rapporto strategico delle Forze armate Usa «Nuclear Operations» (11
giugno), redatto sotto la direzione del presidente dei Capi di Stato maggiori
riuniti (CJCS) afferma che «le forze nucleari forniscono agli Usa la capacità
di conseguire i propri obiettivi nazionali» e che a tale scopo esse devono
essere «diversificate, flessibili e adattabili» a «una vasta gamma di
avversari, minacce e contesti» convinti come sono che l’uso di armi
nucleari «può creare le condizioni
per risultati decisivi: in specifico, l’uso di un’arma nucleare cambierà fondamentalmente
il quadro di una battaglia creando le condizioni che permettono ai comandanti
di prevalere nel conflitto» chiaramente la Russia diffida dall’uso di armi
nucleari che indipendentemente dalla potenza utilizzata innescherebbero
reazioni dagli esiti difficilmente controllabili sino ad un conflitto nucleare
su scala globale.
Tuttavia “Nuclear operations“ prevede che «Lo spettro della guerra nucleare
può andare dall’applicazione tattica, all’uso regionale limitato, all’occupazione
globale da parte di forze amiche e/o nemici. L’uso di un arma nucleare a
sostegno di operazioni di natura tattica richiede una pianificazione
dettagliata a tutti i livelli.» Anche perché «L’impiego di armi nucleari
può modificare o accelerare radicalmente il corso di una campagna. Armi
nucleari potrebbero essere introdotte a seguito del fallimento di una campagna
convenzionale, di una potenziale perdita di controllo o per inasprire il
conflitto al fine di chiedere la pace a condizioni più favorevoli.»
In pratica si sono convinti che il tabù esistente sull’uso delle armi nucleari
non ha motivo di essere. Le armi nucleari se depotenziate possono e debbono
essere usate, senza tante cerimonie sui teatri di guerra, alla stregua di armi
convenzionali (declassificate perciò da strategiche a tattiche) affidando la
decisione relativa al loro utilizzo ai militari.
Secondo
il recente rapporto ICAN e PAX (4) sono 28 le principali aziende private dedite
alla costruzione e fornitura di armi nucleari che spingono per una loro
utilizzazione «convenzionale». I governi, secondo tale rapporto, hanno già ultimato
contratti con tali aziende per un valore complessivo di 116 miliardi di dollari
a società private in Francia, India, Italia, Paesi
Bassi, Regno Unito e Stati Uniti per la produzione, lo sviluppo e lo stoccaggio
di armi nucleari.I nuovi contratti, i nuovi tipi di armi nucleari, la nuova
dotazione di risorse mostrano che è in atto una corsa agli armamenti nucleari
in un contesto in cui al vecchio equilibrio del terrore si è sostituita l’idea
che la guerra nucleare ha una sua praticabilità ordinaria nei teatri di guerra
convenzionale e una straordinaria governata dalla dottrina del ‘first strike
atomico’ ossia della praticabilità di un primo colpo atomico da infliggere
al nemico a sorpresa, talmente intenso e paralizzante per chi lo subisce da
minimizzare la sua capacità di risposta; la adozione di questa dottrina
strategico-militare mostra un superamento, una emancipazione, da quel timore di
Mutua Auto Distruzione – MAD – codificato nella prima guerra fredda, risultato
della reciproca consapevolezza della impraticabilità di una guerra nucleare.
Per di più siamo ormai approdati nell’era post INF
Per oltre 30 anni, il Trattato sulle forze nucleari a gittata intermedia (INF) era
stato uno dei fondamenti del sistema di sicurezza internazionale. Le azioni che
stanno portando al suo affossamento sono state messe in atto sin dal 2014 dagli
USA; la allora amministrazione Obama aveva posto sotto accusa, senza alcuna
prova Mosca, rea di testare un missile da crociera vietato dal trattato. Mosca
ha sempre negato di aver testato alcun missile piuttosto accusando Washington
di aver installato in Polonia e Romania, finalizzate alla messa in opera dello «scudo spaziale»,le rampe di lancio
di missili intercettori a doppia valenza difensiva ed offensiva a testata
convenzionale e/o nucleare aventi funzione nel contesto della logica perseguita
del First Strike Atomico. Tali installazioni possono evidentemente tenere sotto
tiro le capitali russe, viceversa Washington non può essere minacciata da
missili a gittata intermedia russi perché al di fuori della loro gittata. Come
afferma Manlio Dinucci, in un ipotetico scenario capovolto, sarebbe come se la
Russia schierasse in Messico missili a gittata intermedia.
La Russia non avendo basi militari vicino al
territorio degli Stati Uniti, dove poter schierare missili a raggio intermedio
è impossibilitata a fornire una risposta simmetrica al ritiro degli Stati Uniti
dal Trattato INF.
Ultimo atto dell’affossamento dell’Inf, il 26 giugno, data in cui il consiglio
della federazione russa ha approvato all’unanimità la sospensione della
partecipazione russa. Stoltenberg il segretario della NATO ha ribadito l’ultimatum
a Mosca, in scadenza il 2 Agosto, data entro la quale Mosca dovrebbe
distruggere gli armamenti che a detta degli USA violano l’accordo. A partire da
tale data minacciano la reinstallazione degli euromissili (i cruise che erano
stati schierati in Italia a Comiso, i Pershing in Germania… SS 20 nell’ex
Unione Sovietica) che erano stati disarmati dall’accordo del 1987 tra
Reagan-Gorbaciov (3). Mosca avverte che nell’eventualità minacciata dagli
americani procederà a riarmo compensativo degli equilibri militari nell’area
europea. L’Unione europea (21 su 27 membri della Ue fanno parte della NATO) è complice
del processo di affossamento. La Ue alla assemblea generale delle Nazioni Unite
del 21 dicembre 2018 ha votato contro la risoluzione presentata dalla Russia
che chiedeva preservazione (ossia che il trattato rimanesse in vigore) e
osservanza (richiesta di attivazione di verifiche reciproche) del trattato. La
mozione è stata respinta con 46 voti contro 43 e 78 astensioni. La Ue e con
essa l’Italia è quindi d’accordo alla reinstallazione sul proprio territorio di
missili nucleari a gittata intermedia che si aggiungono alle altre armi
nucleari già presenti sul nostro territorio nelle basi di Ghedi ed Aviano le
quali ospitano le bombe B61 che a partire dalla prima metà del 2020 saranno
sostituite dalle più potenti B61 12 in
violazione del trattato di non proliferazione ratificato nel 1975 dall’Italia.
Oltretutto compartecipiamo all’addestramento del personale militare per abilitarlo
all’uso di armi nucleari. È chiaro allora che nel caso di guerra il nostro
territorio sarà oggetto di ritorsione nucleare trovandosi in prima linea contro
Russia ed eventualmente Cina. L’Italia, infatti, ospita oltre alle armi
nucleari (70 testate) anche installazioni strategiche come il MUOS (Niscemi) e
il Jtags (Sigonella) elementi fondamentali dello «scudo spaziale» per la regia,
controllo e comando dell’offensiva su scala globale delle forze armate
americane. La rottura del trattato Inf e la proliferazione degli armamenti che
ne sta seguendo stanno già portando a programmi di riarmo che vedranno le armi
nucleari russo/cinesi puntate 24 ore su 24 su obiettivi militari sparsi sul
nostro territorio ed in generale su quello europeo.
Si consideri infine che i missili nucleari a gittata intermedia possono
impiegare pochissimi minuti per arrivare sull’obiettivo assegnato. Nella logica
ora dominante del first strike nucleare chi è costretto a difendersi dalla
eventualità di una simile aggressione necessita di affidare la risposta a
sistemi automatizzati che fanno largo uso di intelligenza artificiale per
sperare di riuscire ad organizzare una risposta adeguata nel più breve tempo
possibile. Si consideri che gli euromissili arrivano a destinazione entro un
intervallo di circa 5 minuti. I sistemi che scrutano cielo, terra e mare
interrogandosi 24 ore su 24 si pongono un’unica domanda: è in corso o meno un
attacco? Questi sistemi saranno sempre più interfacciati direttamente agli
apparati offensivi e pilotati necessariamente da algoritmi che escludono
qualsiasi intervento umano al fine di minimizzare gli strettissimi tempi di
risposta. L’intervento umano è codificato nel sistema al momento della
programmazione degli algoritmi che governeranno la risposta ad eventuali
attacchi sulla base della lettura dei dati in ingresso. Come gestiranno questi
sistemi i tanti possibili falsi allarme analoghi a quelli individuati e
arrestati dall’intervento umano all’ultimo momento negli anni della prima
guerra fredda? In un sistema in cui la reciproca tensione viene incamerata dai
sistemi tecnologici che la gestiranno con sempre maggiore difficoltà, la guerra
termonucleare potrebbe essere il risultato di errori accidentali gestiti dal
sistema come reali.
L’Unione europea – 21 dei 27 membri fanno parte della Nato (come ne fa parte la Gran Bretagna in uscita dalla Ue) – ha bocciato alle Nazioni Unite la proposta russa di mantenere il Trattato Inf. Il ritiro dal trattato contribuirà alla nuova corsa agli armamenti analoga nella fattispecie a quella degli anni ’80. I paesi europei acquisteranno sistemi di offesa/difesa dagli Stati Uniti a favore del complesso militare-industriale statunitense. Le accuse mosse dagli SU contro Russia e Cina catalizzano la scelta di riarmo che risulta perciò indotta artificiosamente. Anche l’Italia si è sostanzialmente accodata alle decisioni Ue/Nato senza che alcuna forza governativa o semplicemente politica si sia levata in opposizione a tali decisioni suicide; in particolare il trattato ONU sulla proibizione delle armi nucleari è stato boicottato dalle forze politiche italiane di tutti gli schieramenti.
Il 4 dicembre del 2018 il Consiglio Nord Atlantico cui ha partecipato per l’Italia Elisabetta Trenta (M5S), ha dichiarato che «il Trattato Inf è in pericolo a causa delle azioni della Russia», accusata di schierare «un sistema missilistico destabilizzante, che costituisce un serio rischio per la nostra sicurezza».
Teoricamente russi
e cinesi potrebbero essere indotti a stabilizzare la situazione annunciando una
loro alleanza difensiva con l’Iran. Così come ha fatto la Nato nei paesi che vi
aderiscono potrebbero installare proprie basi in Iran; Netanyahu sarebbe
informato che nel caso in cui provocasse o prendesse parte ad una guerra a
danno dell’Iran, Israele sarebbe la prima a subire ritorsioni sul proprio
territorio.
Potrebbe essere questo, a lungo andare, l’esito delle azioni Usa
entusiasticamente sponsorizzate da Israele? Intanto Nikolai P. Patrushev,
ufficiale della sicurezza e dell’intelligence russa, nel corso di una conferenza
stampa del 25 giugno scorso, ha dichiarato che:
“(…) Abbiamo enfatizzato l’importanza di diminuire le tensioni per il paese (la Siria) tra Israele e l’Iran, applicando passi di avvicinamento reciproci (…). La Russia, gli Stati Uniti e Israele dovrebbero unire i loro sforzi per agevolare il ritorno della pace in Siria.
Nel contesto delle dichiarazioni fatte dai nostri partner e dirette ad una grande potenza regionale, cioè l’Iran, vorrei aggiungere: l’Iran è sempre stato e sempre sarà nostro ALLEATO e partner, con il quale stiamo sviluppando relazioni sia su base bilaterale che in formati multilaterali.
Ecco perché crediamo sia inammissibile descrivere l’Iran come un grave pericolo per la sicurezza regionale o paragonarlo allo Stato Islamico o qualsiasi altra organizzazione terrorista. Specialmente da quando l’Iran contribuisce con sforzi notevoli a ristabilire la pace in Siria e stabilizzarne la situazione (…)”
Anche i ministri
della Difesa dell’Iran e della Cina hanno già firmato unaccordo(2016)
atto a rafforzare la loro cooperazione a lungo termine finalizzata alla difesa.
Il 5 giugno, nel giorno del D-Day, mentre gli americani ribadivano l’impegno a
difendere «pace, libertà e democrazia assicurate in
Europa» alludendo alle presunte minacce russe, nello stesso giorno a
Mosca si incontravano, per la trentesima volta in sei anni, i presidenti Putin
e Xi Jinping. Le sanzioni alla Russia hanno avuto l’effetto di intensificare i
rapporti tra i due paesi che ormai si scambiano merci, servizi e materie prime
per 100 mld di dollari rigorosamente in rubli e yuan. De-dollarizzazione (5),
infrastrutture che intensificano le relazioni tra i due paesi, costruzione
della Unione economica euroasiatica promossa dai russi all’interno della quale
si inscrive la nuova via della seta cinese, banca dello sviluppo che fa le veci
della banca mondiale sono aspetti integranti del nuovo ordine mondiale
multipolare che avanza.
Tanto importante quanto ignorata in Occidente la «Dichiarazione congiunta sul
rafforzamento della stabilità strategica». Russia e Cina che hanno posizioni
comuni su Iran, Siria, Venezuela e Corea del Nord denunciano le conseguenze
negative per quei paesi che come l’Italia violano l’art. 2 del Trattato di non
proliferazione nucleare
«Art. 2:
Ciascuno degli
Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, si impegna a non
ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il
controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente; si
impegna inoltre a non produrre né altrimenti procurarsi armi nucleari o altri
congegni nucleari esplosivi, e a non chiedere né ricevere aiuto per la
fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni nucleari esplosivi.»
pur aderendovi (in Italia 70 ordigni nucleari fanno del nostro un paese fuori
legge, oggetto, in caso di conflitto, di ritorsione nucleare).
Coerentemente la decisione di non ratificare il recente «Trattato sulla messa
al bando delle armi nucleari» insieme a quella di avallare il ritiro dal
trattato Inf. Atti questi che insieme contribuiscono a quella accelerazione della
corsa agli armamenti nucleari che aumenta pericolosamente il rischio di
conflitto nucleare.
Dai verbali della Costituente:
«è effettivamente insostenibile la concezione liberale
in materia economica, in quanto vi è necessità di un controllo in funzione dell’ordinamento
più completo dell’economia mondiale, anche e soprattutto per raggiungere
il maggiore benessere possibile. Quando si dice controllo della economia,
non si intende però che lo Stato debba essere gestore di tutte le attività economiche, ma ci si riferisce allo
Stato nella complessità dei suoi poteri e
quindi in gran parte allo Stato che non esclude le iniziative individuali, ma
le coordina, le disciplina e le orienta»Aldo Moro, 1947
«Se si lascia libero sfogo alla legge della libera concorrenza
e alla libera iniziativa animata solo dal fine del profitto personale, si
arriva pur sempre al super capitalismo e così a quelle conseguenze fra le quali
primeggia la guerra tremenda che fu la rovina di tanti popoli» Gustavo
Ghidini, 1947
In estrema sintesi,
il modello economico ultraliberista, l’abbandono dell’equilibrio del terrore a
favore del First Strike atomico, la declassificazione delle armi nucleari da
strategiche a tattiche, l’abbandono del Trattato Inf, la non osservanza del
Trattato di non proliferazione nucleare ci dicono che sono in tanti soprattutto
negli Usa a pensare alla guerra come ad una forma di reset dell’ordine mondiale
che potrà essere così riconfigurato, nelle loro speranze, a favore dei
vincitori… ma una guerra totale combattuta senza esclusione di colpi con le
armi del 21esimo secolo se dovesse concretarsi non avrà vincitori. È quanto mai
urgente ridimensionare progressivamente gli eserciti e riconvertirne ruolo e
funzione dal warfare al welfare, quale forza organizzata al servizio dell’umanità
atta ad affrontare le grandi emergenze sociali e ambientali in esercizio di
collaborazione permanente tra i popoli per il ripristino delle condizioni della
vita ovunque siano in pericolo.
A livello internazionale è urgente una nuova Bretton Woods che contribuisca
allo stabilirsi di un nuovo ordine internazionale condiviso attraverso una
riforma del sistema monetario internazionale e l’abbandono del sistema
neoliberista insieme al ristabilimento del diritto internazionale.
Noi italiani,
coinvolgendo il più possibile gli altri paesi Nato, dobbiamo mirare, proprio
per la importante posizione geostrategica che occupiamo nel mediterraneo, a
liberarci dalla occupazione Usa-Nato del nostro territorio che dura ormai da 70
anni, dichiarandoci finalmente neutrali
e perseguire una nostra autonoma politica estera, nel rispetto della nostra
Costituzione, prima che sia troppo tardi.
I tempi sono maturi perché il mondo scelga di dare continuità alla legge della
vita sul pianeta.
(1) i documenti relativi sono stati desecretati nel 2013
https://nsarchive2.gwu.edu/NSAEBB/NSAEBB435/
(2) https://www.nytimes.com/2015/03/26/opinion/to-stop-irans-bomb-bomb-iran.html
(3) Gorbaciov, il 15 Gennaio 1986, aveva proposto di attuare un programma
complessivo, in tre fasi, per la messa al bando delle armi nucleari entro il
2000. Gli Usa non dettero alcun seguito a tale proposta di disarmo nucleare
congiunto.
(4) https://www.dontbankonthebomb.com/wp-content/uploads/2019/05/2019_Producers-Report-FINAL.pdf
(5) su de-dollarizzazione vedi il mio «Umanità al bivio» (6) riporto da M. Dinucci Guerra Nucleare. Il giorno prima p.120 – ZAMBON
Interessantissima illustrazione che va diffusa affinchè il mondo sappia. Ciò per evitare azioni di criminali , sopratutto da parte di potentati economici USA, Inghilterra ecc., che stupidamente credono che le guerre portino a loro grandi guadagni economici.
Oggigiorno scatenare guerre per fare grossi profitti, com accaduto nei secoli scorsi, si ritorce contro loro stessi.
Rifiuto totale delle guerre come risoluzione dei conflitti. Questo è l’unico concetto che possiamo seguire e diffondere. Forza dai dai