Sono i più anziani d’Europa. A scorrere i dati Eurostat https://ec.europa.eu/eurostat/data/database?node_code=educ_uoe_perd01, aggiornati al 2017 http://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/setupDownloads.do, prende un certo sconforto. Il 51,6% degli insegnanti italiani di scuola primaria ha più di 50 anni. Siamo la maglia nera d’Europa per età dei docenti. Nella scuola secondaria, ancora peggio: sono il 54,5%. Il numero più elevato nella scuola superiore, dove ben il 57,1% supera i 50 anni. Questo il risultato di scelte politiche dissennate, tutte fondate sulla riduzione del turn-over e sul prolungamento dell’età lavorativa, conseguente alla riforma Fornero.
Forse non a tutti è chiaro quale sia il problema. In primo luogo, un docente anziano è stanco. Ne ha ben donde: diventare insegnante in Italia comporta spesso un’umiliante gavetta da precario, che può durare anni e che incide negativamente sul già magro stipendio e sulla carriera. Gestire con presenza di spirito giorno dopo giorno, anno dopo anno per decenni decine o centinaia di studenti fra i 2 e il 19 anni è assai logorante anche per i docenti più motivati, anzi, soprattutto per loro. Vedersi distruggere la scuola tanto amata, riforma dopo riforma, fa scappare la voglia di tener duro e di combattere la propria quotidiana battaglia contro l’ignoranza. Vedersi denigrare e umiliare da una stampa che dà di loro una rappresentazione grottesca e falsamente negativa e da una massa di concittadini che ne invidia i presunti privilegi, senza comprendere le difficoltà e le frustrazioni di una professione tanto delicata, li demotiva profondamente, così come lo stipendio fermo da 10 anni e fra i più bassi d’Europa. Nel Paese dei santi, dei poeti e dei navigatori, i custodi del nostro immenso patrimonio culturale non godono del prestigio che merita l’importanza del loro ruolo sociale.
In secondo luogo, un insegnante anziano è psicologicamente sempre più lontano dai suoi studenti, di anno in anno più giovani. La differenza di età può rendere la distanza incolmabile, per differenza di codici comunicativi, di stili di vita, di interessi e di modalità di apprendimento. Con i bambini più piccoli la differenza di età incide sulla relazione educativa in modo drammatico.
In terzo luogo, un docente anziano si ammala più facilmente ed ha meno risorse psicofisiche per il mestiere più logorante in assoluto. Con i più piccoli, la fatica è anche fisica e spesso non compatibile con gli acciacchi dell’età (ricordiamoci che una maestra di scuola d’infanzia, per esempio, non solleva di peso solo un bambino, ma una trentina e più volte al giorno). Con i più grandi, con i genitori e con i colleghi e il Dirigente, le difficoltà possono annidarsi ovunque: chi insegna non può permettersi di portare in classe i propri problemi personali e deve essere abbastanza centrato da gestire conflitti relazionali e problemi altrui. Gli studenti di anno in anno sono più fragili, problematici ed esigenti. Ma le docenti sono per quattro quinti donne, e si trovano ad affrontare tutto questo in piena menopausa. Non è un caso che la professione docente sia in assoluto quella più soggetta a burn-out – il vecchio esaurimento nervoso, insomma, e a patologie psichiatriche, come la depressione, e tumorali, senza dimenticare le disfonie e i disturbi stress-correlati.
Infine, i docenti italiani sono soli. Lo Stato non si occupa della loro salute, della loro autostima professionale, della loro crescente povertà. In Germania, un docente può andare in pensione dopo 27 anni di lavoro, perché è noto ovunque in Europa quali sono i danni di questa professione, e con una pensione molto più elevata. I 40 anni ed oltre previsti per i docenti italiani sono una follia. E’ proprio per l’età avanzata che un certo numero di insegnanti ormai esaurite perdono il controllo del comportamento e iniziano a perdere la pazienza con i bambini loro affidati. Invece di studiarne le condizioni di lavoro e proteggerne la salute, la soluzione di pancia escogitata dalla politica è quella di mettere le telecamere nelle scuole d’infanzia. Un ultimo schiaffo alla loro dignità di lavoratrici.
In ogni caso, nonostante le pensioni da fame e sempre più lontane, entro pochi anni oltre metà del corpo docente italiano andrà in pensione. E si produrrà un’altra conseguenza negativa: il salto generazionale impedirà di dare continuità culturale alla scuola italiana, oltre a creare enormi vuoti di organico. Potrebbe essere il colpo finale al nostro sistema di istruzione. info@patriziascanu.it
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