“A.D. 1909 – Cambridge: Una pioggia fine batte alle finestre di un oscuro e polveroso laboratorio di fisica del Trinity College, quando all’interno un uomo in camice bianco si aggira pensieroso nella fioca luce di una lampada a gas, attenuata attraverso una serie di lastre di vetro scuro, giocherellando nervosamente con un ago da cucito. È il futuro professore Geoffrey Ingram Taylor che si sta accingendo a sondare la trama del reale proiettando dei fotoni contro una lamina con due fori.
Diciotto anni più tardi a Copenaghen Niels Bohr e W. K. Heisenberg discutono appassionatamente sugli esisti e le implicazioni dell’esperimento della “Doppia Fenditura”, quando nella mente del fisico tedesco si fa faticosamente strada il ricordo di un passaggio della “Critica della Ragion Pura” in cui Immanuel Kant parlando di “materia” e “forma” aveva osservato come la forma fosse la legge che ordina la materia sensibile e che la materia fosse «molteplicità caotica e mutevole delle impressioni sensibili che provengono dall’esperienza», non quindi la realtà a modellare il pensiero, ma il pensiero a modellare il reale secondo le categorie culturali in cui lo percepisce”.
Il racconto si basa su accadimenti verificabili e sul fatto che, grazie agli studi classici, Heisenberg conoscesse l’opera di Kant, come si può riscontrare nei suoi scritti ove mostra la volontà di stabilire una nuova relazione tra scienza e filosofia, giungendo alla conclusione che “la fisica non è una rappresentazione della realtà, ma del nostro modo di pensare ad essa”. Tuttavia la ricostruzione degli eventi per quanto verosimile è solo un’illazione del narratore. La percezione che abbiamo del mondo che ci viene raccontato dai media quindi non è altro che l’interpretazione di un’interpretazione, filtrata da ciò che viene detto e dal non detto, e se come diceva Platone la verità è unica, atemporale e impersonale, la sua intermediazione, per propria natura, non è né neutra né impersonale.
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