Libertà e informazione

di Claudio Messora

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Viviamo nella migliore delle società possibili? Il progresso è sinonimo di miglioramento? Abbiamo più
libertà oggi di quante non ne avessimo in passato? Sono domande alle quali la sensibilità comune tende a
dare risposte scontate: oggi siamo finalmente liberi, le grandi democrazie occidentali garantiscono i nostri
diritti fondamentali, concorriamo alla vita pubblica attraverso libere elezioni e così via. Di contro,
guardiamo al passato con un misto di sollievo e timore: che fortuna non essere vissuti ai tempi dei faraoni,
o nell’antica Roma, o nel Medioevo! Certo, le condizioni della nostra esistenza sembrano migliorate,
almeno a giudicare dall’allungamento dell’aspettativa di vita. La medicina ha fatto passi da gigante, la
tecnologia anche di più. Ma siamo più felici oggi di quanto non lo fossimo qualche secolo addietro? Questa
è la domanda fondamentale: qual è l’obiettivo della nostra esistenza? Avere 23 gradi in casa tutto l’anno,
rinchiusi il più a lungo possibile in una prigione dorata, o vivere serenamente, in armonia con il creato e con
la nostra specie, il tempo che ci è stato regalato su questa Terra? A ben vedere, tutte le domande in
apertura di questo articolo possono essere messe in discussione. Siamo sicuri, ad esempio, di vivere in una
democrazia compiuta? Winston Churcill, nel 1947, disse che la democrazia è la peggior forma di governo,
ad eccezione di tutte la altre. Sta di fatto che alla base di una democrazia ci sono i diritti politici, i quali si
fondano a loro volta sulla libertà di scelta dei cittadini, che prende corpo nel diritto di voto, che poi a sua
volta deve sostanziarsi in una concreta attuazione dei programmi che hanno ottenuto una maggioranza.
Tutto il castello crollerebbe se la scelta che esprimiamo alle urne non fosse libera. E quand’è che si sceglie
liberamente? Quando si hanno tutte le informazioni utili a formulare un giudizio. Tutto nella nostra vita è
informazione, sin dai tempi in cui i primi uomini, per sopravvivere, dovevano sapere con precisione dove
sarebbero passati i branchi di bisonti, perché se avessero avuto informazioni sbagliate sarebbero morti di
inedia. Allo stesso modo l’uomo moderno occidentale deve conoscere quante più informazioni possibili sul
suo paese, sulle istituzioni che lo amministrano, sugli uomini che le presiedono, su quelli che si candidano a
sostituirli, sui problemi che affliggono l’economia, il lavoro, l’ambiente, le politiche sociali, la salute e su
come risolverli. Se queste informazioni fossero manipolate, per la convenienza dei pochi a discapito dei
molti, allora la scelta sarebbe falsata, teleguidata, sbagliata, illusoria, dannosa. Però, da Heisenberg in poi
sappiamo che non esiste informazione senza manipolazione: l’osservatore cambia ciò che sta guardando, e
dunque quello che racconta non è altro che la sua personale rappresentazione della realtà. Forse non esiste
una verità assoluta, dunque, ma tante verità che rappresentano le angolazioni parziali dalle quali si guarda
il mondo. Così come la luce bianca, tuttavia, è composta da tutte le frequenze luminose sommate le une
alle altre, la migliore approssimazione della verità allora non può che passare attraverso la pluralità delle
fonti di informazione. Non a caso l’articolo 21 della nostra Costituzione garantisce la libertà di pensiero e di
parola, cioè la libertà di espressione che si deve ad ogni singola opinione. E da dove passano tutte le nostre
informazioni, oggi? Sono “plurali”? Per lungo tempo ci siamo informati attraverso un medium piramidale,
verticistico, appannaggio di pochi, da subire passivamente: la televisione, veicolo elettivo della propaganda.
La televisione ha sostituito quello che per gli antichi greci era l’Olimpo, e gli opinionisti dei talk show hanno
preso il posto delle divinità. Dopo la costituzione dei grandi network televisivi, dalla metà del secolo scorso
in poi, non siamo stati mai liberi. Se allora ci ponessimo di nuovo la domanda iniziale, “abbiamo più libertà
oggi di quante non ne avessimo in passato?”, forse dovremmo convenire che rispetto ad altre epoche
storiche, dove la comunicazione tra le persone era diretta, oggi viviamo in una immensa caverna di Platone
controllata da chi ha idonei mezzi finanziari, e che questo ci rende tutti molto poco liberi di scegliere. Certo,
da qualche anno è arrivata internet, la più grande rivoluzione dell’informazione dopo Gutenberg, ma i
tentativi di infiltrarla e censurarla sono innumerevoli e molto insidiosi. Sta ad ognuno di noi rivendicare e
difendere la pluralità delle fonti e, soprattutto, avocare a sé il diritto incomprimibile di ragionare fuori dagli
schemi, secondo il nostro insindacabile giudizio. Ogni volta che ci viene detto che non siamo in grado di
capire, che dobbiamo fidarci di altri – non importa chi lo dice – quello è il momento invece di chiedere
spiegazioni, di studiare e di compiere ricerche personali, perché siamo di fronte al chiaro, inequivocabile
segnale di un padrone in cerca di schiavi. E gli schiavi no, non sono liberi.

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