di Maurizio Blondet
È interesse sommo del Governo italiano, del popolo italiano, e di tutti i popoli europei, affrontare di petto e nel profondo il tema delle riforme delle regole di convivenza in Europa. Tutti sanno quanto siano necessarie, nessuno entra nel merito!
Per questo chiedo a Giuseppe Conte, Capo del Governo, ed ai suoi vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, di aprire formalmente il dialogo sull’argomento, al livello che merita.
Il professor Paolo Savona è ministro degli Affari Europei. Ha espresso chiaramente e dottamente la necessità che l’Unione Europea sia riformata. Organizzi con i fondi e l’egida del ministero, ed il patrocinio del Governo intero, un convegno internazionale sull’euro, l’Europa e le riforme di cui abbisogna.
Ci sono una notevole quantità di economisti di fama internazionale che possono essere invitati a discutere. Personalità che i media italiani fanno finta di non conoscere, e che perciò il pubblico italiano non conosce.
Una breve scorsa su internet basta a identificarne una mezza dozzina.
Ashoka Mody, economista, Princeton, ha scritto un saggio “Eurotragedy”, pubblicato dalla Oxford University Press. I esprime con humour molto british su blog e articoli che compaiono sul Financial Times.
Adam Tooze, laurea alla London School of Economics, docente di storia dell’economia alla Columbia University, ha scritto un saggio (“Lo Schianto”, Mondadori) dove critica lucidamente e radicalmente il sistema del capitalismo terminale globale. E’ intervenuto nel dibattito sul deficit di bilancio italiano, dicendo che il braccio di ferro che la Commissione UE ha ingaggiato col governo populista “potrebbe scatenare una crisi finanziaria che porterebbe all’Italexit e alla fine della UE”.
Paul De Grauwe, docente di economia monetaria alla London School of Economics, già senatore, già assistente economico del presidente della Commissione UE Manuel Barroso, già economista al Fondo Monetario e alla Banca Centrale Europea – insomma un curriculum perfettamente istituzionale, niente che lo faccia assomigliare ad un economista selvaggio – ma da sempre spiega le tesi per le quali Borghi è stato schernito e sputacchiato: ossia che una banca centrale può annullare il debito pubblico quando vuole, e che gli economisti tedeschi che strillano che hanno paura che la BCE “fallisca” se compra troppo debito italiano (o spagnolo, o greco) sono degli ignoranti, che attribuiscono a una banca di emissione gli stessi limiti che ha una banca privata.
https://www.maurizioblondet.it/perche-la-bce-puo-cancellare-250-miliardi-e-chi-lo-nega-e-ignorante-o-in-malafede/
Emmanuel Todd, il grande antropologo, demografo e storico francese, credo non abbia bisogno di presentazioni: basti dire che previde il collasso dell’URSS in un famoso libro, La Chute Finale, già nel 1976. Oggi esprime critiche definitive sulla UE e si è dichiarato a favore dell’uscita della Francia dall’euro e del recupero della sovranità nazionale.
Jacques Sapir, economista, accademico, da anni propugna la “de mondializzazione” e l’uscita dall’euro, seguita da una svalutazione del 25% e dal controllo sui capitali. Il 10 novembre 2018, invitato da Bagnai, è intervenuto al convegno “Euro, mercati, democrazia – Sovrano sarà lei!” “, tenutosi a Montesilvano (Pescara), con un ottimo successo. Merita maggior visibilità.
Chi aggiungere agli invitati? Posso pensare ai tedeschi H. W. Sinn e Clemens Fuest, i capi dell’IFO Institut, che hanno almeno una consapevolezza (al di là della propaganda, che ha fatto credere ai cittadini tedeschi che loro stanno pagando per i debiti greci e italiani) delle storture e imperfezioni letali che un euro moneta comune “a metà” comporta per l’insieme delle economie.
http://vocidallagermania.blogspot.com/2018/11/la-tragedia-italiana-secondo-hans.html
Sarebbe bello organizzare con loro un convegno europeo per appurare quale sia la vera natura del Target 2, il misterioso ircocervo da 900 miliardi, che i tedeschi dicono che è un loro credito e nostro debito, che dobbiamo restituire, ma a cui mancano i connotati di un debito: non frutta interessi e non ha scadenza. Fuest e Sinn sembrano non troppo lontani dall’idea di una uscita ordinata dall’euro, consensuale, europea: sarebbe essenziale invitarli, ascoltarli e rispondere loro, per il professor Savona, per Nino Galloni, Borghi, Bagnai – e Sapir.
Questo sarebbe un vero esempio di civiltà europea.
E perché no, Stiglitz, il Nobel? E Varoufakis? Quest’ultimo si è espresso in termini offensivi contro il governo italiano, ha perfino incitato Mattarella a rovesciarlo: però è un testimone prezioso delle storture dell’euro e dei metodi “di tortura” (l’espressione è di Juncker) che ha subito nella sua carne nelle trattative con cui la UE ha devastato la Grecia per salvare le banche tedesche e francesi che al piccolo paese hanno prestato troppo e incautamente.
Lui, come Stiglitz, hanno in odio il governo italiano che vedono come “fascista”. Ma sono anch’essi critici della UE, dell’euro e dell’ordoliberismo. Così come sono a favore di una “riforma dell’Europa”, a parole, tutti gli oppositori italiani al governo giallo-verde, che hanno fatto il tifo perché i “mercati” lo punissero e facessero fallire il governo e l’Italia.
Sono anche loro d’accordo i piddini, i berlusconiani, i giornalisti, gli economisti bocconiani, che la UE va “riformata”. Quella che non ci hanno fatto sapere è in che cosa, per loro, devono consistere “le riforme” e dove si differenziano da quelle che ha elaborato il professor Savona.
https://www.startmag.it/mondo/trattati-europei-paolo-savona/
Perché in realtà, se scavo nella memoria, non ricordo da parte del PD analisi più solida di quella, famosa, di Bersani: “L’Europa sì, ma non così”. Vorrebbero per favore sviscerare il “non così”? Ah, è vero, hanno anche Lucrezia Reichlin, che scrive sul Corriere, vuol salvare l’euro a tutti i costi – e si è appena dimessa da vicepresidente di Carige. Vabbé, si inviti anche lei. In contradditorio con Ashoka Mody o Emmanuel Todd, o il professor Sinn, però.
Il punto è questo: che l’Italia prenda la guida intellettuale del dibattito sulle riforme dell’euro, e della UE, invitando chiunque ha qualcosa da dire e contatti nel potere politico, con lo scopo precipuo di arrivare ad una definizione di tali “riforme” – una definizione il più possibile condivisa e realizzabile concretamente. Al di là delle chiacchiere e al disopra degli insulti che riducono l’istanza populista e sovranista a “proto fascismo”, e ai colpi bassi degli “europeisti” che incitano i mercati a colpirci e Bruxelles a punirci – unire le menti accademiche “per fare qualcosa insieme” e suggerire soluzioni realistiche ai governi rispettivi.
SE posso osare, questo appuntamento dovrebbe essere ricorrente, e diventare una specie di “Davos per cambiare l’Europa”. Qualcosa di prestigioso che i media non possano tacere e far passare in secondo piano, qualcosa con cui aprano i tg della sera, qualcosa alle cui conferenze-stampa partecipino i “grandi media”. Ché il grande pubblico impari a conoscere gli accademici internazionali, con i titoli e fama adeguata, e le loro critiche allo status quo europeista. Magari anche per far vedere al presidente Mattarella che non esiste solo Mario Draghi, e che sull’Europa si deve “mercanteggiare”, mica è diritto divino.
La sede? Quella giusta sarebbe Roma-EUR con le sue architetture rappresentative. Ma per non costringere i prestigiosi ospiti di fama internazionale a scavalcare le montagne di spazzatura romana, che presto sommergeranno la capitale come una Pompei, sarà opportuno pensare ad altre sedi. Perché non la Sardegna, professor Savona? Un panorama più affascinante di quello di Davos, in una delle zone splendide liberate dalle servitù militari. In che stato sono le installazioni della Maddalena che Berlusconi fece approntare per quel G 8 del 2009 che doveva essere il suo trionfo d’immagine?… Ah, se ho detto una cosa sbagliata, mi scuso.
traduzione dell’intervento di Jacques Sapir,
la Commissione potrebbe pagare un prezzo altissimo per il suo tentativo di piegare il governo giallo-verde: potrebbe forse ottenere una vittoria temporanea, ma la conseguenza sarebbe un riposizionamento della politica italiana su linee ancora più populiste e nazionaliste, oppure potrebbe arrivare a scatenare una crisi finanziaria che porterebbe all’Italexit e alla fine della UE. Se Bruxelles non ha nulla di meglio da offrire che il rispetto della disciplina dell’eurozona, e se per farla rispettare da un paese grande come l’Italia non ha altro mezzo che i mercati, o si piega ad un compromesso che salvi la faccia a tutti o rischia una vittoria di Pirro. Dal New York Times.
Commenta per primo